INTERVISTA a Sabrina Pietrangeli Paluzzi per l’uscita del suo nuovo romanzo autobiografico (pubblicata per La Croce il 18 dicembre 2015)tornata a casa

Mi imbatto nella pagina Facebook di Sabrina Pietrangeli Paluzzi dedicata alla sua ultima fatica, il libro “Tornata a casa”. L’avevo già incontrata, Sabrina, anni fa, forse nel 2009, sempre sul web. Non so come, sono finita su un post dove raccontava la sua terza gravidanza. Incontro in lei un tipo di sofferenza a me ancora sconosciuto e il valore efficace del Rosario. Efficace. E non perché sia la versione cattolicheggiante di pratiche di benessere psicofisico, ma perché attira aiuto dall’alto. Maria è l’Ausiliatrice.
Le scrivo un messaggio in chat e le chiedo se posso intervistarla proprio in merito alla sua opera.
Ci diamo appuntamento per mercoledì mattina; appena dopo le medicine a Ludo e appena prima dei suoi appuntamenti ospedalieri.

D – Ho letto a balzi il tuo libro. È il 3°, giusto?

R – Sì. Ne ho scritti 2, prima. Tutti per La Quercia.

(La Quercia Millenaria è il nome della Onlus che è nata da Sabrina, suo marito ed in seguito supportata da alcuni medici e famiglie che vorrei tanto avere incontrato anche io e Dio solo sa chi altro. Da Giona, senz’altro. E dallo Spirito Santo. Mi spiace giocarmi tutto il bonus maiuscole ma è necessario. Abbiamo a che fare con l’opera di un Altro, ndr).
Auricolari inseriti, pc acceso e aperto su word, livello della batteria sufficiente. Si parte.

D – Prima cosa: scrivi benissimo. Adoro la tua scrittura così pulita, essenziale e vivida. La scena del pattinaggio, gli adesivi sopra il mobile del letto. I sospiri di tua mamma. L’orecchio per i motori imparato da tuo fratello. Mi pare di sentire l’odore dell’aria di qualche tua mattina fredda o il suono dei passi di bambine sulle scale. O il calore delle lacrime di tuo papà, dopo il divorzio. O l’oppressione di giorni e giorni passati in ospedale, ma lì proietto, pensando ai nostri ricoveri. Perché scrivi?

R – Io scrivo da sempre; ho sempre avuto un diario, fin da bambina. Dopo avere letto il diario di Anna Frank dai 12 anni in avanti ne ho sempre tenuto uno che mi ha accompagnato nel periodo peggiore del divorzio dei miei. Mi ha fatto compagnia tutta la vita, durante l’attesa dei miei figli, nei momenti di difficoltà.
Fin da quando mi ricordo la lettura e la scrittura sono il mio grande amore. Scrivo ogni sera.

D – Perché hai deciso di raccontare di te e della tua vita?

R – È una cosa alla quale lavoravo da circa tre anni. Rileggendo la prima stesura ho constatato che aveva una forma ancora aggressiva, di sfogo. Per un po’ l’ho accantonata. In questi anni sono maturate molte cose. Si è chiuso un cerchio… A quel punto ci ho rimesso le mani limando le cose. Io ero più risolta; mi sono risolta in tante ferite e amarezze. Ho trovato un nuovo modo di volermi bene. Ho potuto riformulare il racconto e prima ancora lo sguardo sulla mia vita e prenderne i frutti. Come fossi già un’anziana signora sul letto di morte che guarda alla propria vita e ne considera i frutti… (Ride) Che immagine, vero? Però è così, nel senso che di quella condizione, la fine della vita, sperimento la pace!

D – (Non so, a pensarci bene, anche da questo scambio di battute si capisce che lei della morte ha un grande rispetto e nessuna soggezione né terrore. È cristiana. Senza mollezze. Si può dire “morte”, si può dire “malattia”, si può dire tutto, in fondo, di fronte al Signore.)
Dove eri prima di «tornare a casa» ?

R – Ero pellegrina. Ero in pellegrinaggio perenne; cercavo in tutti i posti tranne che in quello giusto.

D – (È così che si legge lei, dal punto di vista del destino. L’incontro col Padre spiega e salva tutto, penso tra me. I semi spesso restano nascosti a lungo. A volte anni, ho letto una volta in un libro per bambini sui semi. Poi germinano.)
E di quegli strumenti per i quali hai avuto anche una sorta di devozione, che guardavi come al tuo dio ora cosa pensi? (Mi riferisco in particolare alla psicoterapia e nello specifico all’approccio dell’analisi transazionale per il quale nutro, seppure da dilettante, grande stima. Lo schema della personalità che propone e che individua un Genitore, un Adulto e un Bambino come i tre fondamentali stati dell’io è di grande semplicità e risulta efficacissimo per l’autocomprensione senza perdere affatto in profondità).

R – Ora sono, appunto, strumenti. Li giudico ottimi, essenziali. Soprattutto per chi non ha fede. Aiutano moltissimo a relazionarsi con se stessi e con gli altri. Ma la psicologia e la psicoterapia non salvano. Mio cognato, Silvestro Paluzzi, che è uno psicoterapeuta cristiano dice: «la scienza cura, Cristo salva».

D – (Siamo in costante relazione, anche al nostro interno. La traccia trinitaria in noi è così mastodontica che quasi non la vediamo più. Come uno sfondo al quale ci si abitua, penso io).
Perché aiuti gli altri?

R – Perché sono stata aiutata io. In modo gratuito e pieno di amore. Durante la gravidanza e la grave patologia insorta a Giona abbiamo affrontato da soli l’abbandono, il vuoto delle istituzioni, una grande insufficienza di intervento per esperienze come la nostra. L’esigenza è stata di creare qualcosa che non c’era. Volevamo, anzi, vogliamo offrire la possibilità di non farli sentire soli, questi genitori, o farli sentire meno soli.
Chi non ha queste cose, che fa? Magari rinuncia a suo figlio, subito. Non arriva nemmeno a porsi certe domande, non riceve nemmeno tutte le informazioni che servirebbero e in preda alla paura sceglie subito l’aborto. Molti medici danno molto meno informazioni di quelle di cui dispongono e che permetterebbero spesso altre strade, come gli interventi invasivi in utero. Giusto ieri ho parlato con una mamma che sta vivendo la gravidanza di un bambino terminale. Si è sentita dire dal suo ginecologo «o abortisci o qui non torni più» (e ripetendo l’ecografia in un centro a pagamento, la ginecologa ha proprio spento lo schermo dicendo «è meglio se non la vede»). Lei è sostenuta da una grande fede, è una roccia, ma senza una forza di questo tipo come si può affrontare una situazione del genere?
La lunga notte nella quale nostro figlio stava per morire di cui parlo nel libro, ho contrattato con Dio. Io ti do tutti i minuti della mia vita. Questo figlio e questa storia siano espressione della Tua gloria, della Tua vita. Tutto quello che è nato è stato molto di più di quello che ci aspettavamo.

D – (Quindi in fondo è per questo che lo fa… Perché è una faccenda tra lei e Dio.)… Aiutate anche gli sposi cristiani, anzi i fidanzati.

R – Sì. Io e mio marito offriamo una pastorale per coppie in preparazione al matrimonio: il messaggio non è «potrebbe accadere questo o quello». Il messaggio è: «vi state sposando cristianamente. E Lui è la roccia. Potete reggere il colpo, qualunque sia, Lui è vivo».
Spesso nella nostra attività di aiuto alle donne – e agli uomini- durante una gravidanza che presenta dei problemi la prima cosa che facciamo è veicolare informazioni buone. Spesso le donne agiscono in base a paure spropositate di fronte a patologie o problematiche che invece sono curabili.

D – Aiutate tutti. Anche atei…

R – Anche mussulmani!
Io non approvo molto la metodica troppo incentrata su argomentazioni religiose che rischia di far erigere muri a chi non condivide un’esperienza di fede.
La vita ha una valore più alto della religione, non di Dio, ma della religione. Io ti aiuto in ogni caso. Se convivi, se tuo figlio è stato concepito in provetta. Mi interessa tuo figlio: che stia bene e sia salvo. Il resto sono cavoli tuoi. E questo approccio ha fatto sì che alcuni lontani si avvicinassero e alcuni di religioni diverse non alzassero muri.
Un ragazzo, un papà mussulmano ci ha detto: «Ci parlate di questo Cristo che vi fa fare tutto questo per noi?». E ci ha chiesto preghiera sulla testina della sua piccola malata.
Lo stesso approccio lo abbiamo con chi decide di abortire. Non condividiamo la decisione, ma vogliamo comunque bene alla donna. Che poi torna a dirci: «Grazie, perché mi sono sentita amata». Uccidere non è la soluzione ma comprendiamo la persona, la sua paura, senza tuttavia giustificarla.

D – Noi cristiani sembriamo fissati con la sofferenza… Perché ci prodighiamo a portare sollievo?
(Prima di darle il tempo di rispondere voglio condividere con lei una mia riflessione)
Penso che come al solito il mondo travisi e renda prima grottesco e poi terribile un valore, un’istanza cristiana, integralmente umana. I Cristiani hanno sempre cercato di dare sollievo alla sofferenza, anzi ai sofferenti, alle persone mentre soffrono. Sembra pedanteria ma le parole sono decisive. Penso a Padre Pio e alla sua unica opera non esclusivamente spirituale che è la Casa sollievo della sofferenza. Penso agli ospedali. Se li sono inventati i nostri santi. Tutto questo, strappato alla sua radice, è diventato “diritto alla salute” … Per cui se non riesco a curarti, allora ti ammazzo. La sofferenza è inaccettabile.

R – Io penso che non ci debbano essere eccessi, né nel salutismo a tutti i costi, né nell’accettare la sofferenza senza chiedersi veramente se è Dio che la manda. Dobbiamo fare come Gesù nel Getsemani: Padre, se questa cosa non me la stai mandando Tu io la rifiuto, ma se sei Tu a permetterla io la accolgo e sia fatta la Tua volontà. Fa male, è incomprensibile ma porterà frutto.
Noi di fronte alla malattia di Giona abbiamo chiesto il miracolo, ma se non fosse guarito, la sofferenza sarebbe diventata terreno di semina.
L’accoglienza della sua malattia è stata totale sin dal primo giorno. Oggi siamo quasi alle porte della dialisi, e pur sapendo che potrebbe cambiare la qualità della sua e nostra vita, riteniamo questi giorni, questi ultimi 13 anni con lui, regalati. Ogni giorno è un regalo. Accogliamo quello che arriva con un certo spirito. Tutto quello che arriva di buono ci stupisce e quello che arriva di negativo, lo affrontiamo in una certa maniera.

D – Cosa sostiene e nutre il tuo matrimonio?
Mi risponde in un soffio. È una cosa che sa. Ne è certa.

R – La certezza di non essere stati noi due a sceglierci, di essere stati scelti da sempre e questo aiuta nelle diversità di carattere e di esperienze di vita. Io vengo da una famiglia dove ho sperimentato l’ abbandono e la fame di amore; lui da una famiglia accogliente. Lui è estremamente sicuro di essere accudito. Io ho paura sempre che non lo sarò. Siamo stati scelti proprio perché siamo così. Ci siamo di aiuto e supporto reciproco.

D – È nata con Giona una vocazione. Che non è una crociata, non è assistenzialismo, non è proselitismo.. che cos’è?

R – È una forma di evangelizzazione innestata in una pastorale sanitaria che non vuole soltanto assistere i malati, ma anche educare i datori di cure. Per questo ci siamo radicati così tanto con la scienza diventando polo sanitario anche per la formazione dei medici, formando prima di tutto noi stessi (Sabrina si è da poco diplomata con Bioeticista e Carlo Counselor Socio Educativo, ndr).
Questo libro (per La Quercia ne ho già scritti due) è la prima cosa che faccio per la mia famiglia. Ho lasciato un lavoro molto ben retribuito nel 2007 per dedicarmi solo alla nostra Associazione. Abbiamo dovuto cominciare a sperimentare la Provvidenza. Il nostro servizio è gratuito e non retribuito, ma lavoriamo usando le abilità e i talenti che il Signore ci ha donato come persone. E la cosa bella è che in questo noi doniamo il frutto della nostre vicissitudini agli altri.

D – Vi consiglio di comprare il suo libro. E di leggerlo. Di rileggerlo. Magari di regalarlo.
Sabrina e la mamma. E il papà. La povertà. Le amiche. L’intelligenza pronta. La ricerca di figure femminili importanti. La terapia. Gli amori come scialuppe. L’incontro con Carlo. Carlo che non basta. Dio. L’incontro con Dio. E allora Carlo è perfetto; le figlie, il figlio…
Sabrina ha la tempra di una Giovanna d’Arco con l’armatura che serve alla battaglia dei nostri tempi. È sposa, moglie, mamma (io vorrei che fosse mia sorella maggiore!), difende gli innocenti, affronta battaglie cruentissime. Ma si ricorda e mi ha ricordato stamattina al telefono che Gesù Cristo con tutto il Suo sangue ha già vinto.

Acquista il libro http://sabrinapietrangeli.blogspot.it/…/tornata-casa-storia…
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4 pensieri su “

  1. Un immenso GRAZIE ad entrambe per quello che siete e che fate. Comprerò il libro, insieme al tuo non appena finirò di leggere altri che avevo già prenotato per Natale alcuni giorni prima che uscisse il tuo. Promesso. Buon Natale.

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