L’essere che è

Bolck notes, appunti per raccontare.

Il fatto vero, centrale di tutto, di tutta la nostra vicenda umana di sposi e genitori è questa: mai ci siamo ritenuti titolari di un potere che, quand’anche quando fosse esercitato,  non è fondato in nessun diritto, non poggia su nessuna roccia di giustizia né di ragione.

Mai abbiamo accettato il costume che la legge ha rinforzato diffuso e peggiorato: resti incinta? Uno: la cosa riguarda solo te, donna. Due: sei sempre davanti a due opzioni. Tengo? Tolgo?

No. Non ho mai accettato né assunto come forma mentis questa impostazione. Che pure la legge 194 ha grandemente contribuito a diffondere , consolidare e incistare nella mente di tutti. Infatti il vero sforzo è di “non conformarsi alla mentalità di questo mondo”, di restare attaccati ad un’altra mentalità.

(E vivendo una gravidanza particolare  ma anche con le altre figlie qualcosa era già successo pur andando tutto bene lo sguardo del medico come tecnico di un processo che va a volte quasi sottratto alla mamma non esperta e valutato nella sua correttezza di produzione si fa sentire. Non sempre non da tutti ma ogni tanto c’erano segnali sospetti.. per un piede torno quasi mi suggerivano l’aborto. E con i problemi di Ludo che poi non sono stai chiari se non dopo la nascita ho dovuto cambiare ginecologa perché non si fidava della mia intenzione. No dopo lei magari cambia idea…Ecco. Mi tengo la mia idea, mio figlio e sa che faccio? Cambio ginecologa)

Che è la punta dell’iceberg di una rivoluzione dalla violenza prepotente e vigliacca. Io, che sono già formato e sono forte posso decidere chi nasca e chi no. Madre Teresa disse infatti che l’aborto è la più grande minaccia alla pace. Io da ragazza sprovveduta e superba prendevo questa affermazione come l’espressione colorita di una visionaria, un’iperbole di una sentimentale, maniaca religiosa magari.. invece è esattamente così: se la madre può uccidere il figlio che ha nel ventre, cosa impedisce a me di uccidere te? Niente, se non la forza. La legge del più forte. Si torna a quello e con il sigillo dello Stato.

Le donne, spesso, spessissimo sono le vittime, complici consenzienti di un’atrocità preferita come scorciatoia da altri. Oppure sono le regine del ghiaccio col quale circondano il proprio cuore e quello del maschio che non può più dire niente. Via. Non conti niente,  me la vedo io. O per contro le vittime di un egoismo e un disimpegno facilmente preferito al rischio e alla responsabilità che gli adulti veri si assumono. Sono fatti tuoi, veditela tu, liberatene.

Povere donne convinte che sia sempre un’opzione disponibile… Che quando si è disperate, angosciate, povere, minacciate e lasciate sole è lì a tentarti, ad invitarti. Ti porge il modulo, tu firmi…ma vivere l’aborto è poi tutta un’altra faccenda.

L’esperienza anche germinale di essere madri non è rimuovibile. È, resta. Credo che l’aborto sia una tragedia. Ma credo anche che se viene confessato e perdonato sia un’occasione di bene immensa. I piccoli martiri muti diventano la placenta che nutre nuovi santi.

Però nel frattempo nella società si calcifica questo muro storto che vuole rifondare una città senza Dio, il Dio di tutte le vite, e senza l’uomo. Perché è l’uomo è quello che si unisce alla donna e per una cosa così piccola eppure misteriosa, immensa e bella si trova a veder crescere un altro uomo. Che non è inferiore a lui.

Ecco. Per grazia, per educazione, per storia, per decisione del cuore né io né mio marito abbiamo mai pensato di avere un diritto da esercitare sui nostri figli e contro di loro, contro l’attributo più importante che è la loro esistenza.

Abbiamo sempre saputo che avremmo dato loro fattezze, tratti, inclinazioni forse talenti ma non l’anima né quello che del tutto li separa e li differenzia da noi e li mette sul nostro stesso piano di regalità. Di inalienabilità di quel bene che è la loro vita. Sono persone. E per questo del tutto indisponibili se non a loro stesse- e possono dolorosamente anche decidere per il male (io prego che almeno ripartano sempre, tornino indietro, continuino a dire che si sono sbagliati anche mille volte e tornino a Dio)  e al loro Creatore. Per questo sentiamo di avere una responsabilità enorme che è quella di custodirli, difenderli, educarli e consegnarli a Dio.

Almeno sperare che imbocchino la strada che porta a Lui.

Io, invecchiando e forse maturando, ho scoperto di avere un solo e unico problema vero da risolvere nella vita. Vivere in modo da non distogliere la misericordia di Dio da me e non rifiutarla perché voglio andare in Paradiso. Unico problema vero: vivere bene,  per morire bene e andare in Cielo. E non è una favola. Basta un nanosecondo di distrazione dal continuo intrattenimento al quale siamo invitati e sollecitati da tutte le parti per ricordarci che siamo stati buttati nell’essere, nella vita e che vogliamo essere felici, per sempre.

E questo voglio per tutti i miei figli. Allora se riesco a spaccare la crosta che si indurisce intorno al mio cuore lo desidero anche per gli altri. Allargo per progressiva inclusione questo amore di viscere a tutti. Facendo a pugni con le mie miserie, le mie meschinità, la cattiveria, gli egoismi.

Ludovico, come tutte le sue sorelle che sono qua  e i due che sono andati in Cielo prima di nascere, non ha niente di particolare. Non c’è molto da dire. È un figlio di Dio. Che abbia o non abbia certe cose. Che debba prendere medicine già da due anni e mezzo e che non sappia stare seduto non incide di un millimetro  l’armatura della quale è rivestito.

La Gloria di Colui che tutto move per l’universo penetra e splende in una parte più e meno altrove.

Questa è una delle poche terzine dantesche che so a memoria. È l’inizio della cantica del Paradiso. Ho voluto fare l’alternativa all’Università e mi sono appassionata a quella e un po’ l’ho studiata.

Non in tutti gli esseri la gloria di Dio splende ugualmente. Ci sono dei gradi.

 

In lui splende, nascosta e fulgida, molta gloria divina. In forza del paradosso che Gesù Cristo ha introdotto nel mondo. In forza di quello Ludo è il magnifico. E questo difendo e amo. Lui, le sue carnine tenere, l e sue fatiche; le sue regressioni e la sua bellezza struggente, il suo profumo, la sua magrezza i suoi muscolini poco sfruttati. I suoi occhi debolissimi. Affacciati chissà dove, però.

Ho solo bisogno di pazienza. Di resistenza paziente e gioiosa. E di non temere si secchino le cisterne delle mie lacrime.

Ne ho ancora. E ancora.

Ancora.

 

Ho anche un obiettivo, nato da un’intuizione vissuta nel nostro dramma, che desidero raggiungere: dimostrare che eliminare i deboli- quello che il nuovo ordine mondiale intende imporre come modello a tutti i paesi – sia una vera perdita. Un immiserimento non solo morale e umano ma fino a quello materiale ed economico. Ne sono filosoficamente ed esistenzialmente convinta. Quello che è spiritualmente ricco ridonda, ricade abbondante sul materiale e il corporeo. Sul sociale, sulla vita intera.

Ho letto un breve passaggio di Gotti Tedeschi, che attinge senz’altro alla ricchezza della sapienza che la Chiesa porta,  che mette la miseria morale all’origine della miseria materiale. Significa quindi che se ci impoveriamo tanto sul fronte morale, ed è evidente che scartare chi non è produttivo è un immiserimento morale (nella Spe Salvi Benedetto XVI dice che la capacità di soffrire e compatire è uno dei segni più alti di umanità), diventiamo più poveri anche in banca. Se ci sono studiosi di sociologia statistica demografia economia etc che vogliano aiutarmi in questa fatica…se no niente, chiedo all’Illmo Gotti Tedeschi.

Ah. Detto questo vorrei rassicurare su una cosa: la mia sofferenza è riamasta intatta e acutissima. Nessun effetto anestetico. Anzi ci sono ancora tanti momenti di scoraggiamento. Eppure è possibile la pace e la gioia. Schivando l’autocommiserazione e la rabbia. C’è anche una solitudine profonda che è dovuta all’esigenza di preservare il cuore…

 

 

 

 

 

7 pensieri su “L’essere che è

  1. L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
    Scritto dall’amica e sorella in Cristo, Paola.

    “Io, invecchiando e forse maturando, ho scoperto di avere un solo e unico problema vero da risolvere nella vita. Vivere in modo da non distogliere la misericordia di Dio da me e non rifiutarla perché voglio andare in Paradiso. Unico problema vero: vivere bene, per morire bene e andare in Cielo. E non è una favola. Basta un nanosecondo di distrazione dal continuo intrattenimento al quale siamo invitati e sollecitati da tutte le parti per ricordarci che siamo stati buttati nell’essere, nella vita e che vogliamo essere felici, per sempre.”

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