Articolo pubblicato per La Croce Quotidiano (non mi ricordo la data)
Non so cosa scrivere, di che parlare. Ho il cuore pesante oggi. Un figlio ammalato non è un argomento facile, né la carta da giocarsi sempre e comunque. E io non ho un figlio malato, me misera. Non è lui un eserciziario di “poverinismo”. C’è un bambino, nostro figlio, quel bambino lì, che anziché vedere il proprio corpo deteriorarsi con gli anni e la propria mente obnubilarsi piano piano è partito in salita. E’ stato colpito subito. Che ingiustizia. Che disuguaglianza. Lo è davvero? Nel nostro veloce giro d’anni, quella cosa che ci troviamo addosso senza averla chiesta, né chiesta così e che si chiama vita rende questa differenza cronologica irrilevante. Nessuna differenza sostanziale. Nessuna minorità. Credo anche che a tempo debito la sua situazione apparirà come un vantaggio.
E’ un terminale, come me. Come te. Che allegria..Bisogna sempre essere allegri e leggiadri? Sempre non si può. Si può sempre custodire la speranza però.
Io spero. Io sono questa qui, e lui, Ludo è quello lì. Soggetto. E’ talmente evidente che è un io irriducibile e personale. Nessun altro embrione potrebbe mai diventare come lui.
Mi pare che la giustizia, come la verità, sia a volte una questione di analisi grammaticale. Non un bambino, ma lui. Articolo indeterminativo versus pronome personalissimo. E non una malattia che lo usa come substrato per manifestarsi e scatenare la curiosità a volte morbosa dei medici e a volte il gioco vigliacco del rimpallo di competenze, ma l’evidenza che la natura umana è ferita.
E che l’anima invece è eterna. Che il male è talmente pervasivo che attacca gli innocentissimi. Gli altrimenti innocenti. “Tua mamma ti ha concepito nel peccato.” Direbbe il salmista.
Sono io sua mamma. Sì, io. A mia volta portatrice incolpevole di una colpa lunga come un’ombra al tramonto. Eh ma devi sempre partire da Adamo ed Eva per spiegare le cose? A volte anche da prima. Perché Dio è prima. Prima che ci fosse un prima e un dopo.
“Mamma ma io continuo a pensare e penso, penso e non riesco mai a fermarmi finché non arrivo a Dio!”. Ricordo questa confessione di me fanciulla alla mia mamma più giovane di me ora. Lei si stava pettinando davanti allo specchio e io ero nella stanza dei giochi ad aspettarla; dovevamo uscire. E nell’attesa il pensiero camminava, marciava imperterrito.. non riuscivo a fermarlo se non addosso a Dio. Mi causava angoscia. Volevo essere contenuta del tutto nella mia casa; tra le cose familiari, nelle relazioni con le persone. E invece sentivo che un fiotto di essere mi sgorgava da dentro e scavalcava tutto, i pensieri normali di bambina, le immaginazioni, i ricordi e li investiva. Mi sentivo braccata. Anche ora. Anche ora che le cose sono tante, le cose concrete da fare e fare in fretta e bene sono più di quelle che riesco a fare. E mi vengono in mente i salmi, alcuni passi, come un assalto o come un ristoro atteso.
Li pesco dalla memoria dei tempi universitari. Dicevamo le Lodi tutte le mattine (Oddio, loro le dicevano tutte le mattine, io alcune..) e in vacanza pure l’ora media e compieta .
Da quando Ludovico è entrato nel mondo, dal suo essere stato concepito , da quando l’ho scoperto, mi rimbalzano questi due. Il 50 (51) “nella colpa mi ha concepito mia madre” dice Davide per motivi suoi. Ma non si giustifica, sa che l’ha combinata grossa obbedendo alla passione. Non era colpa sua se la passione agiva, ma avrebbe potuto resistergli. Avrebbe? Nostro buon Dio Tu sai che ogni male e malattia hanno un’unica laida sorgente. L’antica colpa. Non pensavo si sarebbe abbattuta anche sul mio bambino. Che è Tuo.
L’altro salmo che rimbomba nella stanza del mio cuore ora triste per la desolazione è il 139 (questo l’ho sentito per la prima volta alle elementari, grazie a suor Anna, che ha anche provato ad insegnarmi il ricamo); quello che mi ha fatto fin da piccina pensare che Dio ci guarda anche nella pancia della mamma, che la gravidanza è già la nostra vita.
Poi da mamma ci cullavo i miei bambini in arrivo. Con facile forse stucchevole commozione. Perché è facile quando tutto va bene. Quando nemmeno ti sfiora il sospetto che qualcosa possa andare storto. “Sei tu che hai creato le mie viscere/e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;/sono stupende le Tue opere,/Tu mi conosci fino in fondo. Non Ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. /Ancora informe mi hanno visto i Tuoi occhi e tutto era scritto nel Tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.” Questi versi mi hanno trafitto a lungo. Dio ha tessuto Ludo così. Non è che si è distratto. Era lì più di chiunque altro mentre lui nel segreto veniva formato. Era Lui a tesserlo. E quindi?
Dio, Tu hai voluto questo? Hai governato l’estensione delle emorragie cerebrali? Hai detto stop a sinistra, più estese le lesioni a destra? E’ andata così?
E se non percorro la via dei Salmi mi perdo nella paccottiglia di conoscenze più o meno scientifiche che raccolgo qua e là come dragando un fiume torbido. E prendo in tristissima considerazione vari e disparati fattori. Persino l’intossicazione per via aerea a passar davanti a un campo nell’ora dei pesticidi, scopro a distanza di mesi dalla sua nascita. (Le sale d’aspetto degli studi medici sono fucine di autodiagnosi eccellenti. Da ora in avanti ho deciso che tutelerò la mia mente così impressionabile ostentando la lettura di grandi tomi). Anche il più insignificante di questi fattori, carezzandolo un po’ con l’immaginazione, arrivo a sorprenderlo mentre scatena la tempesta nei milioni di cellule di Ludo, come in un intrauterino, silenzioso butterfly effect. Aggressioni subite, licenziamenti ingiusti che innalzano i miei livelli di stress proprio nelle prime settimane di gravidanza. Virus nascosti, sfuggiti alle batterie di test con i quali abbiamo inseguito il nemico dal 5° mese in poi.
Età avanzata che aumenta i rischi. Qualità scadente della placenta? (“sì certo dovevi fartene una di Gucci o della Petit Bateau, chiosa il mio caro amico per riportarmi alla realtà in una delle nostre salutari telefonate. Per me salutari, per lui non so! Gli ho chiesto solo di non scappare. E lui confessando il doloroso senso di inadeguatezza di fronte a questo nostro dolore mi ha detto ok, resto. Tanti hanno detto “ci sono” e non ci sono più. Non li accuso. Lo dico solo. Tanti si sono aggiunti. Alcuni dormienti ora brillano addirittura). Forme genetiche che colpiscono attraverso me i maschi.
Lui è il primo maschio nato, ma ne ho persi due entro la 13 settimana. Li penso maschi. Non ho nessun fondamento e non ci ho mai azzeccato con il sesso del nascituro, con nessuno di quelli nati. Forma della pancia, fianchi più o meno larghi, distensione della pelle del viso, scelta dei cibi, mese e giorno di concepimento (come riporta una tabella cinese antichissima trovata sepolta sotto la sabbia. L’avranno seppellita volutamente. Non funziona!)
Una volta una commessa della Benetton mi ha assicurato che da come mi ero chinata a raccogliere la maglia caduta era certissima che sarebbe nata una femmina. Io avrei voluto farle presente che a noi Belletti cade sempre tutto di mano e ci chiniamo a volte così a volte cosà e che ad ogni pasto è ineluttabile almeno un bicchiere versato sulla tavola. E’ la genetica, ragazzi.
Si dimentica forse una madre del frutto delle sue viscere? Potrebbe. Ma Io no. Mai.
Dio, non dimenticarmi. Signore del Cielo della terra e delle nostre viscere e delle nostre anime, guarisci il mio bambino. Adesso o dopo o solo di là. Arroganza di chi si scopre creatura dolente e bisognosa come non ci fosse stato Giobbe e le corsie di ospedali piene e le storie di fatiche e malattie e infermità che non sono mai più lontane di due case da noi. E non ci fosse la Dolente. La madre. Che sono forse la prima e la più dolente? Affatto. Per niente. Ma anche questa notizia non basta. La fame di senso, soprattutto di senso , prima che di guarigione, non si sazia così. Si sazia forse col Dio che si è messo in croce e che ha lasciato la morte e il dolore uguali a vederli da fuori e invece vi ha impresso una nuova imprevedibile traiettoria. Sì. Raggiunti da questa notizia si inizia a sperare. Io spero.
Ma più ancora se con la notizia ci raggiunge, mi raggiunge una persona. Tante persone che suggeriscono un unico Volto. La notizia è la Sua persona. Che mistero.
Ho voglia di vedere Gesù in pieno viso. E che mi consoli e che mi confermi che Ludo è un privilegiato. Che siamo nati perché destinati al Cielo e lui più di me, più di tutti quelli che conosco, è perfetto per il Cielo. Dove non esiste ferita, menomazione o piaga. Tranne le Sue cinque.