La via della vita è la verità

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Ma c’è bisogno di essere credenti  (leggasi “illusi di qualche cosa di non dimostrabile sul quale fondare arbitrariamente dei valori”) per decidere di non abortire? Anzi per stare in quel territorio vasto e desolato dove non ci si pone il problema. Per stare lì dove arriva la vita delle persone senza pesarle come una porzione di affettato.

Quello che io contesto con tutto il fiato che ho in gola (e ora me ne è rimasto pochino perché Margherita ha di nuovo postato dieci foto mie su Facebook senza il mio permesso e soprattutto senza  gli adeguati ritocchi: tipo rimuovere il water dallo sfondo, eliminare quella con espressione ebete. O meglio non metterle del tutto che fa tanto bimbomonkia!) è che la legge 194 ha imposto piano, piano a tutti di ragionare come dal salumiere.

Che si fa? Ha un cromosoma in più; che faccio, lascio? Ha due emorragie. Che dice signora, togliamo? Cominciamo un altro prosciutto? Non ci vedrà. Che fa, ci riprova? Ne fa un altro?
E, ahinoi, io sento spesso anche in contesti cattolici questo approccio. Si capisce dalle domande. Che presuppongono altri pezzi di pensiero non detti, forse nemmeno a sé stessi.

“Quindi avete deciso di tenerlo?”.

Quindi. “ Quindi” è come ergo. Vuol dire che ti accingi a concludere qualcosa. Qualcosa che deve per forza essere così.  Visto che è malato e visto che è ancora vivo, desumo che abbiate deciso di non accopparlo prima. Prima di metterci tutti davanti al fatto compiuto, intendo. Voi e il vostro egoismo., accidenti!

O magari, poveretti, non lo avete saputo in tempo. In tempo per accopparlo, si intende. È chiaro. Sapete che c’è la possibilità di intentare causa ai medici vero se le indagini prenatali non hanno rilevato quello che dovevano rilevare?

Ma che cavolo dici? E da quando un uomo può mettersi al posto di Dio (mai;  anche se è la tentazione per eccellenza)? Perché non capisci che è superbia e follia porsi questo problema?

Io sto nel mio cantuccio. Sto dove devo stare. Non tolgo la vita a nessuno – se Dio mi conserva lontana da orrori troppo grandi, da guerre, da abbrutimenti tali per cui non uccidere richiede la forza di un Titano; io, che non sono capace di darla la vita se non come tramite imperfetto eppure così tanto tenuto in considerazione dall’Autore. Sì perché ci sono personcine in giro che assomigliano a lui e a me. Che assomiglio a mia mamma e a  mio papà, ma di più allo zio. Lo Zio Ivo, che è appena morto. E alla nonna Rita. Forse anche al nonno Carlo? Ho visto solo due, tre foto del nonno Carlo.

Questa mattina, vagando per la rete, ho letto, in calce ad un servizio che celebrava la vita di una famiglia, il  commento di una mamma con un figlio già adulto che lei definisce simpatico, furbo e autonomo che però, a causa della sua disabilità, soffre di non poter dare seguito a tutti i suoi desideri. Di non poter scegliere tutto. E aggiunge che, se lo avesse saputo prima, sicuramente lo avrebbe abortito. (Mi auguro che tra le difficoltà del figlio ci sia una gravissima dislessia che gli impedisca di leggerlo. Ma tanto questo passa anche non detto!).

Siccome sono vigliacca e mi tremavano le mani, non sono riuscita ad intervenire lì, sul commento incriminato. Sono qua che tremo perché sento lo stesso sguardo di tanti su mio figlio. Che se non interviene direttamente Dio o una novità medica incredibile non avrà mai nemmeno una vaga parvenza di normalità.

Però alt un attimo.

Non possiamo legger affermazioni così e lasciar correre. Stiamo ammazzando persone e logica. Vite e verità.

Neanche io che sono nata più o meno sana posso fare tutto. Credo ad esempio che la mia emicrania o anche solo delle carie mi avrebbero impedito di fare la pilota di caccia. A saperlo prima potevano pure ammazzarmi. I miei genitori, dico. Che trogloditi.. Che egoisti.

Sì; ho preferito scriverne altrove piuttosto che affrontare di petto questa persona. Una donna, una madre che senza dubbio proverà consistenti sentimenti di affetto per questo figlio. Ma ha avvelenato in sé la fonte dell’amore e della riverenza per la vita. Dice che ha ricevuto un danno –lui! – col nascere. O forse non vuole ammetterlo, ma è più a sè stessa che pensa. E la capisco. È pesante, pesantissimo, è durissima la malattia. Soprattutto ora in questo contesto di pensiero. O meglio. È dura ma potrebbe pure esserlo di più. In Italia, per ora, i servizi fondamentali ci sono.  È ancora diffusa una certa solidarietà, anche per inerzia, si tende a considerare vita ogni vita. Almeno i più distratti o i meno influenzati dal pensiero unico imperante.

Ma senza girarci troppo intorno. Chi è che si incarica di dire a lei che al netto di tutto il suo dolore, frustrazione, umiliazioni, frustrazione ha detto e pensato una cosa mostruosa? E che ammettere pacatamente che avrebbe dovuto, non potuto, ma dovuto, per essere davvero altruista e amarlo, avrebbe dovuto ammazzarlo, suo figlio è terribile?

Che la verità è che i figli non si ammazzano? Che ammazzare ha conservato intero il suo significato? Chi glielo dice? Io, si sa, non me la sento. Piango e vado in agitazione. Ma se non salta fuori nessun altro lo farò. Glielo dirò, in modo accogliente e rispettoso, caldo e umano, ma tutto intero. Le dirò intera e intatta la verità. Che uccidere è contro Dio e contro l’uomo.  Mi lascerò detestare. Mi lascerò disprezzare e coprire di insulti o di generiche autorizzazioni a pensarla un po’ come caspita mi pare. Ma non mi farò mettere di nuovo nel ghetto delle opinioni tutte equivalenti.

Non è un’opinione. È la verità.

Ed è della verità, piccola parziale e poi intera e bella, che abbiamo tutti di nuovo bisogno. Se sarò capace prenderò il giro largo. Altrimenti glielo dirò e basta. In modo antipatico, asciutto, inappropriato forse. Proprio io che me la prendo per le sfumature di tono. Glielo dirò come potrò.  Ne ha bisogno.

 

(articolo già pubblicato per La Croce quotidiano, http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora)

 

Per gratitudine 2.

Intervista a Sua Eminenza il Card. Carlo Caffarra, 13 maggio 2015

Pubblicata su http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora, il 28, 29, 30 giugno 2015

papafrancescoecaffarra

Seconda e ultima parte

Un fronte decisivo dove si giocano le sorti di questo nuovo modello che intende imporsi è proprio la lingua, il linguaggio. Non più attaccato alla realtà ma dissimulatore, manipolatore della realtà. Siamo all’estremo opposto della adaequatio rei et intellectus di S. Tommaso. Alcune cose non si possono più dire: guai a dire “utero in affitto” in tv! È la GPA, Gestazione per Altri. E non è commercio, è altruismo. Guai a dire che due persone dello stesso sesso non possono avere figli perché per procreare servono un uomo e una donna.. Molti rispondono con un’arroganza pseudoscientifica: “non è vero bastano uno spermatozoo e un ovocita” e soprattutto sembra che “basti l’amore”. (questo misconosciuto..). Guai a dire che esiste un mercato di gameti maschili e femminili, che peraltro non si trovano in una teca ma bisogna estrarli dalle persone. Le donne che si sottopongono all’estrazione (invasiva, aggressiva, fatta di bombardamenti ormonali, sedazione, aspirazione follicolare. Non è un intervento a cuore aperto ma è una pratica invasiva) di ovuli sono “donatrici”..Guai a ricordare che un neonato cerca naturalmente il seno materno.. La pratica dell’utero in affitto è orribile, aberrante. Ma ha un mercato!

I Vescovi europei (COMECE e KEK)a Bruxelles hanno firmato un appello in difesa delle vittime di nuove schiavitù. Per il 16% sono bambini. In esse rientra anche la maternità surrogata dove a venire sfruttato non è solo l’utero ma la donna intera, nella sua dimensione più intima e in un momento così cruciale come la gravidanza! Insomma a noi non fanno dire utero in affitto ma addirittura, nell’ordine della verità, è un’espressione troppo soft! Guai addirittura a parlare di reali differenze tra maschi e femmine. Tutte vanno sacrificate sull’altare di una raggelante uniformità, indistinzione. Guai a dire che l’eutanasia o l’aborto sono la soppressione di una persona, trattasi di pietà o di non persone (Il tutto ricondotto nelle magnifiche carte di diritti sessuali e riproduttivi, con tanto di obiettivi da perseguire entro precise date. Il 2015 per parità di genere ad esempio). Io ho pagato sulla mia pelle questo costume diffuso, questo modo di pensare che ha un grande alleato nella burocrazia (perché le leggi creano costume): mio figlio è gravemente ammalato e la cosa si sospettava già in gravidanza. Fino a 22 settimane avrei potuto sopprimerlo. Non sono mancati mai i medici o il personale sanitario che me lo abbiano ricordato, caldeggiato o addirittura rimproverato. Idem a posteriori: perché lo hai fatto nascere? Soffrire è brutto, come sono d’accordo…E allora che facciamo, eliminiamo la sofferenza eliminando il sofferente? Vorrei confessarvi una mia segreta ambizione: dimostrare dati alla mano che mio figlio – e le migliaia di innocenti che soffrono – è anche una ricchezza materiale. Non solo spirituale, o meglio: siccome ha un altissimo valore spirituale allora ha anche un effetto, una ricaduta materiale. Sennò sembra che le cose dello spirito sia elementi evanescenti, strati gassosi senza incidenza sulla realtà. Una presenza positiva non solo per me, mio marito le nostre figlie ma per tutti. Un bene. Io credo che strategicamente l’eliminazione di persone disabili o malate o apparentemente improduttive sia una colossale sciocchezza. Insomma queste persone non sono scarto (come denuncia sempre il Papa), sono ricchezza! Non nel senso di centri produttivi.. spero di essere riuscita a spiegarmi.

6- Forse sbaglio a piegarmi alla logica economica ma sono convinta che il Signore moltiplichi il bene fino ai beni più materiali. Ludovico è un centro di ricchezza, noi diciamo che porta benedizioni. Ma voglio che si possa vedere fino alle ricadute più materiali. Può essere ad esempio che la tenacia della nostra famiglia avrà effetti formidabili sulle performance lavorative delle mie figlie. O che renda ancora più grande la loro capacità affettiva, che contribuisca a consolidare i loro futuri matrimoni. E i matrimoni che durano sono ricchezza sociale. Che dite, sbaglio?

Io ne sono molto convinto e ritengo che questa riflessione oltre che vera sia molto profonda. La ricchezza spirituale alla fine per così dire fruttifica, ridonda anche sul benessere materiale delle persone. Faccio un altro esempio meno personalizzato. Oggi, tutti i grandi economisti sono d’accordo nel dire che un mercato senza etica alla fine non produce. Ma quando dicono “senza etica” non intendono dire che di ciò che hai prodotto, non ne dai una parte in beneficenza. Ma dentro i meccanismi del mercato deve dimorare un ethos vero! Un’etica intrinseca. Un mercato alla fine non produce se non è intrinsecamente etico.Volendo un po’ riflettere ancora su questo fatto .. che è una delle mie preoccupazioni come pastore e come uomo. Possiamo notare come ormai l’ordinamento giuridico degli Stati si stia sempre più riducendo ad essere il nastro registratore dei desideri ingiudicabili delle persone. Questo non era mai accaduto nella storia del diritto occidentale. È significativo il cambiamento semantico. Quando si diceva diritto si intendeva ciò che è giusto. Ius era lo Iustum! Oggi il diritto si è ridotto ad essere semplicemente la capacità soggettiva di esigere qualcosa senza che nessuno possa dare un giudizio su questo che io desidero, sul mio desiderio. Questo paradigma giuridico ha portato ad una società che è diventata la coesistenza più o meno regolamentata di egoismi opposti, nella quale inevitabilmente il più debole sarà considerato scarto. Ecco la cultura dello scarto della quale parla il Santo Padre! Un’altra conseguenza è ciò che i giovani pensano di se stessi. Pensano di essere un di più! «la società fa a meno di me».(Faccio notare a Sua Eminenza che la stessa osservazione l’ha fatta Franco Nembrini o almeno simile. Come se i ragazzi si sentissero quasi in colpa di esserci…è contento, anzi no, non sono contento – dice – di questa cosa! Ma mi conforta sapere che anche un educatore così di esperienza lo dica). L’altra sera davanti alla Madonna di San Luca ho detto: «Ragazzi, diciamo il rosario perché nessuno di voi si lasci derubare la speranza. Poiché questo è il vostro dramma: che voi guardate al vostro futuro non con speranza, ma con paura». Si sentono dei soprannumerari. È inevitabile. Chi ha, tiene ringhiosamente ciò che ha e non lo condivide. Abbiamo sindacati che difendono a spada tratta il lavoro di chi ce l’ha. E chi non ce l’ha ancora? Lei ha toccato un punto fondamentale su cui già Giovanni Paolo II ha scritto pagine mirabili. Bisogna riflettere molto seriamente su questa problematica.

Sembra di parlare sempre delle stesse cose perché sono tutte intersecate. Figli, madri e padri, sposi, giovani..Dobbiamo prendere atto che l’attacco di questa ideologia si concentra con particolare pervicacia sulla famiglia e sull’istituto matrimoniale. Ho avuto modo di leggere una Sua lectio, riportata da Tempi il 13 marzo 2015, all’interno del Convegno “Matrimonio e famiglia. La questione antropologica e l’evangelizzazione della famiglia” tenutosi a Roma il 12 marzo. Mi ha molto colpito la Sua analisi: spiegate il processo di progressiva e imperterrita de – costruzione di tutte le componenti del matrimonio (genitorialità, coniugalità, sessualità, procreazione, relazioni intergenerazionali). Lei afferma esplicitamente che in Occidente il matrimonio non è stato distrutto ma de-costruito pezzo per pezzo.Abbiamo ancora tutti gli elementi che lo costituiscono ma sono stati resi ambigui, non hanno più un significato univoco e non sono più integrati tra loro.

7- Da dove ha inizio questa de-costruzione e che scopo ha?

Dentro al senso della sua domanda si capisce bene l’ideologia del gender. Sono sempre più convinto che la tirannia che si cerca di imporre al riguardo, significativamente partendo soprattutto dalle scuole materne, abbia un obiettivo: la distruzione del matrimonio. Ritengo questa strategia un’opera satanica. È l’ultima sfida che Satana lancia a Dio: «Io ti faccio vedere che do origine ad una creazione alternativa alla tua e l’ uomo seguirà me, e starà meglio nella mia che nella tua». Leggendo la Genesi si vede che sono due i pilastri della creazione: il matrimonio uomo-donna e il lavoro. Ora noi vediamo anche l’attacco che oggi si fa al lavoro umano, negandone il primato. Si è fatto credere che si possono produrre beni senza il lavoro. Poi si è visto che era tutta carta, ma l’idea è rimasta.La distruzione del matrimonio che strada ha seguito? Nella lectio a cui fa riferimento l’ho chiamata la de-biologizzazione del matrimonio. Cioè far credere che il matrimonio non ha nulla a che fare con il corpo delle persone che si sposano, cioè con la persona che si esprime femmilmente e la persona che si esprime mascolinamente. Questa strada ha avuto un inizio ed è quando si è separato il corpo dalla persona.Si è detto che la persona non è il suo corpo ma ha un corpo. La persona è altro dal corpo. Spersonalizzando il corpo, si pone la premessa del pensiero che è matrimonio qualsiasi incontro fra due persone. Stesso sesso o sesso diverso. La sessualità nella sua dimensione biologica non ha referenza con la persona.

Io avevo fatto questa riflessione, posso chiederLe se ha fondamento? È come se il processo di assimilazione fosse al contrario. Sono le unioni eterosessuali che si vogliono fare assomigliare a quelle omosessuali: una relazione con importante contenuto affettivo e sessuale, più o meno durevole e non intrinsecamente collegata alla procreazione.

Certo, è vero. Infatti i figli si producono non si procreano. De-biologizzando l’ amore coniugale non ha più senso parlare della genealogia della persona, perché la persona è prodotta. Di questo è segno ed esito la scomparsa progressiva della figura del padre – e su questo i più attenti lanciano da tempo l’ SOS – perché il padre è il simbolo più chiaro della linea genealogica, l’indicazione del destino, del cammino. Questa è la paternità, come la maternità è custodia e cura. Anche senza essere esperti di biologia, osservando come è conformato il corpo femminile, vediamo che è fatto per custodire, per far rifiorire in sé la vita. E’ nella biologia della generazione che si iscrive la genealogia della persona. L’inizio di questo evento culturale è stato pensare. Che il corpo non è un corpo personale, e che la persona non è una persona corporale. In fondo l’ideologia del genere è il sogno di rendere tutte le persone come degli angeli. È indifferente il corpo che hai. Pascal dice che l’uomo non è né angelo né bestia, e quando vuol essere un angelo finisce per diventare una bestia. Il nostro difficile mestiere è essere al confine tra l’universo della materia e l’universo dello spirito. La sapienza di Dio si è veramente divertita! Creare puri essere spirituali e pura materia son capaci tutti (sic! Sorride..), ma un essere spirituale e materiale insieme è una meraviglia, è una cosa di una bellezza straordinaria. Come si esprime l’incontro tra le persone? Abbraccio, bacio, unione uomo e donna. Mai una donna permetterebbe di essere baciata da un altro uomo come fa suo marito. E tutto avviene attraverso il corpo, che però è corpo-persona.

8- Sempre nello stesso discorso Lei dice una cosa che deve interrogare profondamente noi cattolici, anzi no tutti gli uomini: sappiamo ancora sposarci naturalmente?

Perché il Sacramento eleva a dignità soprannaturale un legame naturale. La Vostra denuncia è che sia questo ad essere profondamente danneggiato, reso quasi irriconoscibile. Il problema oggi è il legame naturale. La capacità di sposarsi nel senso vero del termine è iscritta nella natura della persona umana. Foscolo: « Dal dì che nozze e tribunali ed are/ dier all’umane belve d’essere pietose/di sé stesse ed altrui».(U. Foscolo, I Sepolcri, 90-93). Nozze: gli animali non si sposano. Tribunali: gli animali non hanno giustizia, non risolvono i conflitti richiamandosi alla più giustizia ma al più forte. Ed are: mai visto animali costruire dei San Petronio (Basilica della Città di Bologna, ndr). Sposarsi è iscritto nella natura della persona umana. Ma questa capacità bisogna essere in grado di esercitarla. Perché oggi fatichiamo tanto? Questo è il punto. Il relativismo sul piano intellettuale ha estenuato la capacità della nostra volontà libera. Se io nego una verità che mi precede, che mi giudica, dentro la quale io dimoro, inevitabilmente anche la mia volontà libera diventa inconsistente, non diventa più capace di volere un bene; di volere un bene definitivo, perché un bene definitivo non esiste. Il relativismo genera l’inconsistenza della volontà. E’ come se l’arco del desiderio si fosse allentato per sempre.

9-Se questa è la diagnosi quali sono la cura e la prognosi? Insomma in tutte le occasioni possibili, opportune et importune, Lei ha voluto alzare la Sua voce di Pastore nei confronti del pericolo che la lotta per questi pseudo nuovi diritti provoca.

Se scoppia una pandemia i responsabili della sanità pubblica mettono in atto due strategie: una strategia di urgenza. Chi prende il virus va curato subito. Ma anche una strategia a lungo termine che vada alle cause ultime dell’epidemia. La diversità fondamentale tra le due azioni, quella d’urgenza e quella a lungo termine, è che la seconda esige tempo. Dobbiamo curare la pandemia della inconsistenza della volontà. I giovani sono schiavi del provvisorio. Va curata come meglio si può; ma bisogna mettere in atto anche un processo di cambiamento. Quali sono gli attori, gli agenti di questo processo di cambiamento? I pastori della chiesa e gli sposi cristiani. I pastori della Chiesa hanno una grande responsabilità su questo perché guai se un pastore smette di educare la persona a guardare verso il Principio! Quando a Gesù viene chiesto a quale delle due scuole rabbiniche si iscriveva riguardo la disciplina del matrimonio e della possibilità di ripudiare la moglie, se a quella più rigida o a quella più lassista, Lui ha risposto: “a nessuna delle due. Aggiustate la vista, guardate il Principio, al momento in cui l’ uomo e la donna sgorgano dalla sorgente creativa dell’amore di Dio. Guardate lì e cosa vedete? I due lasceranno la casa e saranno due in una carne sola”. («Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?  Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Mt 19, 4-6). I pastori hanno questa responsabilità educativa. Guai se diventano anche loro schiavi delle opinioni, se si incatenano da sé nella caverna platonica per una malintesa condivisione della condizione umana. Se un cieco guida un altro cieco non cadono tutte e due nel fosso? E’ parola di Gesù. E poi gli sposi cristiani: perché con la loro vita mostrano il fascino della definitività dell’amore, mostrano che è bello sposarsi per sempre. Racconto un piccolo episodio. Anni fa ho incontrato due sposi che celebravano il 70°di matrimonio, 95 anni lui e 93 lei. Mi hanno detto: «dalla testa in su tutto funziona, dal collo in giù non funziona più niente». «Meno male che non è l’inverso», ho risposto. Mi avevano chiesto di celebrare l’eucarestia giubilare nella mia cappella privata. Essi vedevano il compiersi della benedizione che il sacerdote dà alla sposa nella celebrazione del matrimonio: hanno visto la 4° generazione. L’ ultimo era nato qualche settimana prima. Dopo la S. Messa, ci siamo fermati un momento, ed io ho detto: « 70 anni di matrimonio! Che noia!».«Eminenza, ma cosa dice? Ma lo sa che ci amiamo più adesso di quando ci siamo sposati?». «Volevo sentirvelo dire davanti a questi ragazzi. » (i loro nipoti, ndr)

L’amore, la logica dell’amore è la definitività, non la provvisorietà. Se Dio ci amasse provvisoriamente saremmo disperati. Il segno visibile della definitività dell’amore sono gli sposi cristiani. Suscitano nostalgia, attrazione verso ciò che è bello. 

10- Ha ricevuto molte manifestazioni di ostilità, non è vero? Conosciamo anche noi il livore che si scatena su questi temi..

Se uno non vuole ostilità non deva fare il prete.. Non era un’esortazione morale la mia, come se il problema centrale fosse la condotta umana. Non è così. Sono i fondamenti dell’umano ad essere erosi e distrutti! (si riferisce alla Lettera ai fedeli dell’aprile 2014). L’ideologia per difendersi ha solo un mezzo: l’attacco e l’insulto. Pensi alla favola del Re nudo (I vestiti nuovi dell’imperatore, ndr). Quando il bambino dice: «ma guardate che è nudo!» cosa si fa? Lo si fa tacere..non con argomenti ma con la forza o prendendolo in giro. I mezzi del potere.

Grazie Sua Eminenza della paterna disponibilità. E della pazienza..(ho esagerato con le domande?)

A intervista conclusa aggiunge questo.

Su certe cose che il Papa dice c’è silenzio e censura. Non devono essere comunicate, perché distruggerebbero l‘ ideologia del Papa virtuale che ovviamente è diverso dal Papa reale. Avere un rapporto col Papa virtuale è come non avere rapporto col Papa; e questo è un fattore di estrema debolezza nella vita dei fedeli. Così sta avvenendo. Quando ultimamente ho parlato della “cataratta” su un quotidiano era scritto: “il nostro Arcivescovo non è sulla linea d’onda di Papa Francesco..” Io ho più piacere che mi dicano che ho un’amante anziché che non sono in totale sintonia con il Santo Padre. Lo dissi immediatamente prima del Sinodo straordinario. E’ molto meno grave per un vescovo. Il mio portavoce, la settimana seguente ha fatto una sinossi tra quello che aveva detto il Papa a Napoli qualche giorno prima e i miei interventi. Confrontando i due testi si vedeva bene che il Papa aveva usato parole anche più dure delle mie. (La Croce quotidiano fa questo servizio, di non tacitare il Papa! Aggiungo io. Anzi riporta sempre con fedeltà i suoi interventi). Certo.

Il re è nudo..

E ci lasciamo con una cosa bella. Quando il Santo Padre Giovanni Paolo II mi ha chiamato a Roma per fondare l’Istituto per studi su Matrimonio e Famiglia ha voluto dedicarlo alla Madonna di Fatima. Io dopo qualche mese ho scritto a Suor Lucia per dire semplicemente che il Santo Padre ha voluto dedicare l’ istituto a Fatima e per dirle “Sorella, preghi per noi”. Non mi aspetto risposta. Dopo non tanto tempo mi arriva dalla Curia di Coimbra [bisognava sempre passare dalla diocesi per la corrispondenza] una lunga risposta, autografa di Sr. Lucia, alla fine della quale c’era scritto esattamente così: «Padre, non abbia paura! Verrà un momento in cui la battaglia decisiva di Satana con Cristo sarà il matrimonio e la famiglia. Ma non abbiate paura: la Madonna gli ha già schiacciato la testa».

Il tempo che il cardinale aveva a disposizione era terminato, ma tra i (molti) fogli con i quali mi ero preparata all’intervista ne mancava ancora uno, con un’ultima domanda – peraltro una alla quale tenevo particolarmente. Il cardinale mi ha chiesto di vederlo e mi ha detto che, non potendosi intrattenere oltre con me, avrebbe risposto per iscritto all’ultima domanda. Sull’impegno dei cattolici in politica.

11- Dopo l’epoca Ruini contraddistinta da una sostanziale unità ora la presenza e l’azione dei cattolici (non della Chiesa come istituzione) e le indicazioni della Chiesa italiana paiono più frammentate. Come popolo cristiano, come presenza che incide anche nella società civile e nell’agone politico, però spesso dobbiamo misurarci con separazioni, particolarismi, distinguo… e non è proprio il momento per disperdere energie. A cosa dobbiamo stare attenti? Perché c’è così tanta distrazione, tiepidezza se non addirittura connivenza?

Molte sono le cause che hanno prodotto l’attuale insignificanza della comunità cristiana nell’agorà politico. Mi limito a qualche accenno. Già Paolo VI individuava nella separazione tra fede e cultura il segno della debolezza dei cristiani. Ai miei fedeli dico la stessa cosa nel modo seguente: “ciò che celebriamo alla domenica, non ha alcun rapporto con ciò che facciamo il lunedì”. L’incapacità di elaborare un giudizio di fede circa ciò che sta accadendo, è una malattia gravissima di chi crede. Certamente, l’ingresso dell’agorà pubblico esige il rispetto da parte del credente di due beni dello Stato: la sua laicità; il sistema maggioritario come procedura per le deliberazioni pubbliche. Donde deriva la debolezza di giudizio? Ci sono fattori comuni a credenti e non credenti, quale per esempio, il sentire lo Stato come corpo estraneo al nostro vivere associato. E ci sono fattori propri del credente. A questo riguardo noi pastori dovremmo fare un serio esame di coscienza: siamo stati educatori veri al giudizio di fede?

Per gratitudine

Arrivo con un anticipo che mi fa tenerezza. Appuntamento ore 11.30. Sono in via Indipendenza alle 8.30. A Bologna i  negozi aprono alle 10.00. Non mi interessa in realtà, davvero. Sono scesa con un  regionale veloce, come dire un pinguino volante. Passeggio per la mia amata città felsinea. Ricordo tutto. Ci ho studiato e lavorato in totale per 10 anni. Al posto di uno dei miei primi appartamenti da studentessa ora c’è lo store di una catena per la quale ho fatto consulenza due, tre anni fa… Il mio problema per un po’ può essere: «in quale bar voglio prendermi la colazione e un ricordo di Bologna?». Scelgo e ri – constato che a Bologna le brioche non le sanno fare..Proseguo la passeggiata. S.Pietro, la Cattedrale, è spalancata: c’è la  Beata Vergine di S. Luca. Le avevo promesso di fare un pellegrinaggio fino al Santuario appena laureata; alla fine è venuta Lei.

C’è il Vescovo Ausiliare uscente che nella sua omelia  dice che se non si vede la differenza tra chi ha la fede e chi non ce l’ha significa che chi dice di averla, non ce l’ha. E poi di spegnere la tv. E di recuperare speranza dal passato per il futuro. Parla di figli, di lavoro, di coraggio. Di attingere a Gesù Cristo che è morto per noi. Ed è risorto. Il tutto con spiccato accento bolognese.

 

Alle 11.25, dopo che sono rimasta seduta dieci minuti a fare scricchiolare fortissimo una lunga panca sotto ad un enorme tela in un corridoio dell’Arcivescovado,  il Cardinale, mi accoglie con calore autentico, generoso. Si interessa della mia famiglia, mi chiede come è stato il viaggio, si assicura sia andato tutto bene. Sorrido al punto che quasi gli occhi mi si socchiudono.

 Eminenza,  innanzitutto grazie di averci concesso questo incontro. Oggi è un giorno mariano, l’anniversario delle apparizioni di Fatima e, ricorrenza ben più modesta ma per noi importante, sono  4 mesi esatti dalla nascita del nostro quotidiano: La Croce. Piccolo ma pugnace. E libero. Mi sono trovata coinvolta in questa impresa senza particolari meriti se non l’audacia del direttore e di qualche amico che ha fiducia in me! È nato come strumento per la battaglia contro i “falsi miti di progresso”, secondo la felice espressione dei 4 moschettieri (Mario Adinolfi, Padre Maurizio Botta,Costanza  Miriano, Marco Scicchitano) che hanno iniziato a fare incontri nelle periferie romane dicendo in sintesi una sola cosa: le persone non sono cose. Sta terminando la proroga del mandato come Arcivescovo Metropolita a Bologna.

1- Cosa lascia e cosa porta con sè dal popolo cristiano di Bologna e dalla città tutta? Dove andrà? Si può dire? 

Non rispondo perché non ho mai risposto a nessuno su questi temi. Il genere autobiografico è un genere che proprio non amo..(sorride)

Mi racconta di avere recentemente invitato la Dottoressa Chiara Atzori, Infettivologa, molto esperta di omosessualità, per parlare con i preti. Assai preparata, è stata molto apprezzata dai sacerdoti. Mi ricorda anche con particolare gusto l’episodio dell’incontro con Costanza Miriano in Piazza S. Pietro mentre andava a pranzo col Card. Burke. Durante il breve incontro ci fu un riferimento alla pazienza del marito. Ride di gusto. Ha grande simpatia per la nostra Costanza..Non è che stesse alludendo anche a me e alla verbosità dell’imminente intervista che Gli si dispiegava davanti in tutti i suoi fogli?

Mi rassicura il fatto che non abbia espresso solidarietà nei confronti di mio marito (che sia perché non gliene ho lasciato il tempo?).

2-Considerando che l’affermazione “le persone non sono cose”  è ancora esperienza di popolo, condivisa da larghi strati della società, prima di tutti gli schieramenti,  come si è arrivati ad un “tale oscuramento della ragione” da lasciarci sedurre o da non reagire tutti con forza di fronte a  leggi e costumi che invece tendono a trasformare le persone, tutti noi,  in cose? 

Io penso che il segno più chiaro di questa riduzione delle persone a cose, dell’essere “qualcuno” all’essere “qualcosa”, sia il modo con cui è trattato il bambino. Si ha una trasformazione, chiamiamola così, del bambino da soggetto di diritti fondamentali ad oggetto dei diritti degli adulti. Perché è il test fondamentale?Perché il bambino è solo persona. Mentre le altre persone sono persona umana e “qualcuno che …”, “qualcuno che esercita una funzione pubblica” e  così via.. il bambino è solo bambino, solo persona. È un soggetto a cui non si lega nessun altro attributo. In questo senso diventa un test fondamentale su come la società vede o non vede la persona. Detto questo vengo più direttamente alla domanda. Come si è arrivati a questo oscuramento? Secondo me le cause sono principalmente due, molto legate fra loro. 

La prima è quella che possiamo chiamare lo “spirito del tempo” in cui viviamo, dove la fede cristiana è stata progressivamente emarginata. Ora non dimentichiamo, e la storia lo dimostra ampiamente, che il concetto di persona è stato generato ed è generato (questa concetto detto al passato e al presente io credo che significhi che sussiste solo se è continuamente generato, ndr) solo all’interno di una cultura radicata nella fede cristiana. Perché è solo la fede cristiana che può generare un concetto come quello di persona? L’evento cristiano della salvezza è stato annunciato per primo a chi non era considerato persona nella società del tempo: ai pastori. I pastori non erano considerati soggetti di diritto. Quando questa gente si è sentita fare questo annuncio, dentro di sé non potè non aver pensato «ma allora io sono importante davanti agli occhi di Dio; sono prezioso perché Dio stesso si prende cura di me». Nella coscienza dell’uomo si è accesa una luce che gli ha fatto vedere per la prima volta che essere persona è essenzialmente più che essere qualcosa. Ma se noi sradichiamo la nostra cultura dalle radici cristiane, il concetto di persona gradualmente scompare. 

L’altra causa che vedo è questa: quand’è che una persona si sente veramente tale? Cioè si sente insostituibile? Si sente non interscambiabile? Si sente non un numero di una serie? Solo quando si sente veramente amata. Chi non ha incontrato l’esperienza di un vero amore, chi non ha vissuto questa esperienza, non può raggiungere la consapevolezza del valore della persona. Ma tendenzialmente considererà se stesso un individuo. E avrà rapporti con gli altri solo di carattere contrattuale. Vediamo ogni giorno le conseguenze di tutto questo. 

3- Ma che cosa è una persona? Cosa ci rende così radicalmente indisponibili?

Ultimamente il fatto che ogni persona è “a immagine e somiglianza di Dio”. Il racconto della creazione, il primo racconto della Genesi, che è anche il primo capitolo della Sacra Scrittura, pensa l’atto creativo di Dio come la costruzione di un edificio dentro al quale deve essere posto come un re, per così dire, la persona umana. Di nessuna creatura il Creatore dice che è a sua immagine e somiglianza. Anzi il racconto è come se avesse in quel momento una pausa. Quasi che Dio si consigliasse con Se stesso. Mentre per le altre creature c’è solo il fiat, quando si sta per compiere la creazione dell’uomo c’è come una pausa. E’ come se Dio pensasse quale grande essere stesse creando. E dice: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza». Pertanto ogni volta che tu hai a che fare con una persona umana, indipendentemente da età, salute, malattia, uomo o donna, tu hai a che fare con qualcuno che è sacro, su cui è stampato il sigillo di Dio stesso. Pensare che si possa custodire il valore incondizionato della persona umana anche senza Dio, si è rivelato la più tragica delle illusioni nella nostra storia. Il secolo chiuso da poco lo ha ampiamente dimostrato. 

Eminenza, passiamo a parlare di quella minaccia specifica ed estesa che è l’ideologia gender.

A questo proposito Lei ha messo in guardia i giovani della Sua città da una malattia specifica: la “cataratta” che impedisce di vedere lo splendore della mascolinità e della femminilità (Messa delle Palme, 2015, Bologna).

“ Cari giovani, voi sapete che una delle malattie che impediscono all’occhio di vedere è la cataratta. E’ come se avessero messo un velo dentro l’occhio, impedendogli di vedere la realtà come è. Esiste oggi una cataratta che può impedire all’occhio che vuole vedere la realtà dell’amore, di vederlo in realtà. E’ la cataratta dell’ideologia del gender che vi impedisce di vedere lo splendore della differenza sessuale: la preziosità e lo splendore della vostra femminilità e della vostra mascolinità.” Mio figlio aveva le cataratte congenite  e avere la cataratta appena nati è ben più grave che averla da anziani.. la visione deve svilupparsi subito, cresce con la persona altrimenti resta gravemente deficitaria.

4- È così anche per i giovani? Stanno rischiando un deficit permanente o nelle cose dello spirito la rinascita è sempre possibile?

 

Io credo che questo sia il vero nodo della educazione. Vale a dire tu educhi un giovane nella misura in cui lo introduci nella realtà e nella positività della realtà  – positiva come posita, nel senso che è data? –  Sì, esatto! Lo aveva visto anche Platone nel famoso mito della caverna. Quando vede l’uomo come destinato alla schiavitù delle opinioni, fino a quando non guarda verso il sole. Fino a quando non scende un giusto dentro alla caverna che liberi quegli schiavi delle ombre. Questo è il nodo. Ora è possibile aiutare i giovani a guarire dalla cataratta? Io credo di sì. Sono profondamente convinto che è possibile. Purché però si abbandoni quella che io chiamo la “pedagogia del consenso” e si percorra la “pedagogia del Maestro interiore”. Mi spiego. Io non ho fatto studi di storia delle dottrine pedagogiche, però la mia esperienza di insegnamento di 30 anni coi giovani in Università e di 20 anni di episcopato mi hanno  mostrato che ci sono due proposte educative. Due sole fondamentalmente.

La proposta che segue la pedagogia del consenso, e che consiste nel seguente principio fondamentale: “è indifferente CIO’ CHE io ti propongo, ma il problema fondamentale è il COME te lo propongo. Ti devo convincere che devi seguire la mia proposta. Quindi il mio problema di educatore è di avere il tuo consenso, prescindendo da ciò che ti sto dicendo”. Partendo dal presupposto che non esista una distinzione di vita giusta e vita ingiusta, buona e cattiva, bella e brutta; che non esista una verità sul bene e sul male, partendo da questo presupposto, in sostanza si cerca semplicemente di esercitare un potere sul giovane che si ha di fronte. La seconda proposta educativa l’ho imparata dall’esperienza, ma sono riuscito a teorizzarla leggendo S. Agostino. È la pedagogia del maestro interiore e consiste in questo: che al giovane io dica «ti faccio questa proposta perché ritengo, io adulto, io insegnate, io genitore che questa proposta di vita sia vera, sia buona, sia giusta, sia bella. Io te la propongo. E al giovane che chiede «perché mi dici che è vera, bella,  buona, giusta? », io educatore rispondo non «perché te lo dico io», ma «ascolta il maestro interiore. Ascolta il tuo cuore. Prova a vedere se si ritrova in questa proposta. Prova a verificare questo». Alla fine è come dire: «Prova, e poi verifica se il tuo cuore è felice nel seguire questa proposta».

Alla base della pedagogia del maestro interiore sta un fatto sul quale Agostino ha scritto pagine stupende: non siamo noi a possedere la verità; è la verità a possedere noi. Faccio un esempio, immaginando di stare davanti ad un giovane. Ti è detto continuamente: «fai agli altri quello che gli altri fanno a te». La regola di rame, si chiama. Però altri ti hanno detto: «non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te;  fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te». La regola della prossimità. La regola d’oro. Ora ti senti fatto più per la prima o per la seconda? Il tuo maestro interiore cosa ti insegna? Vuoi essere… rame o oro? Questo grande dilemma educativo è stato la materia del contendere di Socrate coi sofisti. Socrate venne accusato di corrompere i giovani, e condannato a morte per questo. Chi educa secondo la pedagogia del maestro interiore, genera persone libere e non schiavi. E il potere preferisce avere degli schiavi.  

Sì, la rinascita è possibile. Purché si decida tutti di percorre la via del maestro interiore e non quella della produzione del consenso. Che poi –  e finisco- in realtà, detta così sembra una teoria complicata, ma nelle normali famiglie è questa la via che percorrono i genitori. Io mi ricordo in un incontro coi genitori nel quale  ho spiegato le due pedagogie. Ad un certo punto una mamma si alzò e disse: «Eminenza, quello che sta dicendo Lei è  la teorizzazione di quello che noi genitori nella vita quotidiana cerchiamo di fare coi nostri bambini.. ».

Quella mamma aveva capito tutto. Il genitore fa la proposta che sa che è vera e giusta e richiama il bambino: «guarda me [tuo padre e tua madre]». Il bambino comincia ad ascoltare anche lui la voce del maestro. E si genera una persona libera.

Non si diventa adulti senza verità. 

In un’altra occasione della vita della Chiesa Bolognese ha invitato con forza e anche entusiasmo i genitori a riprendersi il proprio formidabile compito educativo, di introduzione dei figli alla realtà intera secondo i propri valori e secondo la propria identità, esercitando la propria autorità (Incontro con i genitori dei cresimandi, S. Petronio, Bologna 15 marzo 2015).

“Consentitemi di terminare con una riflessione che avrei preferito non proporvi. Ho appena detto che la famiglia non può abdicare alla responsabilità educativa. Anche nei confronti della scuola. Non nel senso che il genitore debba insegnare..la matematica al professore di matematica. Ci sono competenze che vanno rispettate.
Ma quando si impone la trasmissione o l’insegnamento di ideologie che i genitori giudicano non avere alcun fondamento sulla realtà, essi hanno il diritto di dare o non il loro consenso.

Per uscire dal vago, sto pensando alla teoria del gender. Essa è semplicemente la distruzione dell’alfabeto della comunicazione umana. Dovete sapere che cosa si intende trasmettere con questa teoria ai vostri figli, e prendere l’iniziativa anche di impedire un indottrinamento obbligatorio. Il Signore vi protegga nella vostra mirabile missione di far fiorire l’umanità dei vostri figli.”

5- E’ un avvertimento forte quello che ha lanciato ai genitori. In che senso questa ideologia  minaccia le basi, i mattoni della comunicazione umana? Colpisce la comunicazione tra gli uomini o anche quella tra l’uomo e Dio?

 

Parto proprio dall’ultima parte della sua domanda. Se noi guardiamo il linguaggio che Dio ha usato quando ha rivolto la Sua parola all’uomo, ha sempre usato l’alfabeto che si radicava nella differenza sessuale. Israele è la sua sposa. Dio è il Padre. Di solito si dice l’espressione “viscere di misericordia”. Nell’ebraico l’espressione è “l’utero di misericordia”. È  immagine tipicamente, esclusivamente femminile.  La storia umana nella Bibbia comincia colla creazione della persona umana maschio e femmina, e termina con l’invito ad un banchetto di nozze. È questo il linguaggio di Dio. Se noi lo distruggiamo, la Parola di Dio ci diventa incomprensibile. Assolutamente incomprensibile. Perché, chiediamoci, ha voluto usare questo alfabeto? Per una ragione profonda e semplice: perché Dio ha creato la persona umana maschio e femmina. L’atto creativo stesso di Dio  ha posto, ha voluto che l’umano avesse la forma della mascolinità e della femminilità. «Maschio e femmina li creò. A sua immagine li creò». Che vuol dire che l’immagine di Dio nell’uomo la si ha nella relazione che esiste fra l’umano maschile e l’umano femminile. Questo è detto nel primo capitolo che apre la Bibbia.

Nel secondo è detta la stessa verità in un modo ancora più suggestivo, laddove si narra la creazione della donna. La ragione per cui il Signore Iddio crea la donna è perché «non è bene che l’uomo sia solo»Vale a dire: se tu prendi solo un’ espressione dell’umanità, in quel momento tu riduci l’umanità stessa. Nel momento in cui Dio crea l’uomo, lo crea per la comunione interpersonale, la quale trova il suo archetipo basilare nel rapporto interpersonale uomo e donna. E qui si vede come questa ideologia (ideologia gender, ndr) distrugge l’umano.

Credo anzi che non ci sia una ideologia più distruttiva di questa. Sono convinto di questo. Ne abbiamo conosciute altre; ma per me erano aranciate in confronto a questa. In fondo è come se si dicesse «di metà del genere umano io non ne ho bisogno, è un di più. Non so che farmene, basto a me stesso».

Perché uso il termine ideologia? Perché non è una teoria. La teoria è un tentativo di spiegare la realtà; la ideologia prescinde dalla realtà. La teoria chiede di essere verificata dalla realtà e a seconda del risultato della verifica diciamo di essa è vera o falsa. L’ideologia non si richiama alla realtà; è solo l’esercizio di un potere politico che ti impedisce di guardare alla realtà perché ha paura della realtà, come ne ha paura ogni potere. Ancora un’altra riflessione su questo. Direi che è il segno, il punto d’arrivo di una disgregazione che è accaduta nella coscienza umana occidentale: la separazione del corpo dalla persona. Posta questa separazione, l’esito non poteva che essere questo: il corpo è insignificante. Non è veicolo di nessun significato e quindi esso ha il significato che decido di dare. Tutto ciò che in qualche modo potrebbe essere pensato come radicato nel bios,  nel corpo, in realtà è costruzione artificiale della società. (Secondo questa separazione, ndr) Quando ho a che fare col corpo non ho a che fare con la persona. I primi a rendersi conto di questo errore, sono stati i medici. La medicina si  è resa conto che non poteva curare, avendo solo attenzione al corpo ammalato perché era la persona che era ammalata, essendo ammalato il suo corpo. Oggi su questo i grandi medici sono tutti d’accordo. Ho anche fatto una lunga lezione alla società medico-chirugica di Bologna proprio su questo tema, su questo sviluppo che la medicina moderna – grandissima impresa scientifica – ha avuto. 

Nei nostri e altrui panni

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(Articolo già pubblicato per La Croce Quotidiano)

Un’altra coppia che si separa. Lui va con un’altra. Lei non lo sopporta più.Soffrono, spesso entrambi, altre volte pare di no, ma decidono, in nome di una sorta di saggezza e senso di responsabilità di lasciarsi al più presto. Meglio così.Meglio soprattutto per i figli. Non possono vederci sempre così. Non è vero. Siamo noi adulti che non sopportiamo più l’estenuante lotta dei litigi per tutto, della vista della faccia altrui, sempre più odiosa e odiata. Promemoria insistente degli episodi più scabrosi; di quei momenti di raro squallore che vorremmo tanto non aver vissuto. E, detto in mille modi diversi, il principio su cui sempre si incardinano queste decisioni è: non sono felice.

È una constatazione spesso così sofferente. Una constatazione che non chiede di essere giustificata. Tutti vogliamo essere felici. Tutti sentiamo urgere questa esigenza. Quindi hanno, abbiamo ragione quando motiviamo in forza di questo principio le nostre decisioni, le nostre azioni. Continua a leggere

Basta che funzioni (?!)

Dovete credere in qualcosa: l’istinto, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo approccio non mi ha mai tradito, e ha fatto la differenza nella mia vita.” Steve Jobs, Stanford University, 2005

Per quanto nobile lo si scelga questo qualche cosa degno del nostro credere resta pur sempre una ruota sulla quale corriamo come criceti, un sistema ingannevole per farci correre e produrre energia?

Come può essere ininfluente se sia vero o no?

E se anche raggiungessimo gli obiettivi umanamente più esaltanti come effettivamente paiono i suoi (di Steve Jobs intendo) cosa potremmo fare se non solo guardarci INDIETRO e dire di aver fatto qualcosa di grandioso, di economicamente arricchente, di entusiasmante ma come dire senza prospettiva, costretto nel claustrofobico orizzonte di uomini che si credono SOLO e definitivamente mortali?

Trovo logicamente infondato che l’essere smetta di essere. Parmenide docet. Anche se pure lui dal canto suo è morto. Ma morire non è non essere più. E non vedere una realtà non significa che non sia più. Continua a leggere

Mutatis mutandis

Sì è vero abbiamo – plurale pusillanimitatis – calato le braghe in questo periodo. Agosto, figli, sole che ci grida di tornar fuori a riveder se non le stelle, oltre a lui, per lo meno le cose.

Però pensavo. Non è che con tutta sta cagnara sul fatto che il web ci mette in comunicazione, che ci fa condividere idee contenuti risorse che tutto nasce, in questa novella età dell’oro, bottom-up e che basta con i contenuti gestiti da pochi e quanto più la tua nomia è folk e meno tasso tanto più è ok, ci stiamo distraendo da qualcosa? Non so, mi sembra tutta una pseudoneutralità e una desolata condivisa solitudine.

Società, tecnologia, open source, relazione, people. Ah-ah; mh-mh. E quindi? Continua a leggere