Arrivo con un anticipo che mi fa tenerezza. Appuntamento ore 11.30. Sono in via Indipendenza alle 8.30. A Bologna i negozi aprono alle 10.00. Non mi interessa in realtà, davvero. Sono scesa con un regionale veloce, come dire un pinguino volante. Passeggio per la mia amata città felsinea. Ricordo tutto. Ci ho studiato e lavorato in totale per 10 anni. Al posto di uno dei miei primi appartamenti da studentessa ora c’è lo store di una catena per la quale ho fatto consulenza due, tre anni fa… Il mio problema per un po’ può essere: «in quale bar voglio prendermi la colazione e un ricordo di Bologna?». Scelgo e ri – constato che a Bologna le brioche non le sanno fare..Proseguo la passeggiata. S.Pietro, la Cattedrale, è spalancata: c’è la Beata Vergine di S. Luca. Le avevo promesso di fare un pellegrinaggio fino al Santuario appena laureata; alla fine è venuta Lei.
C’è il Vescovo Ausiliare uscente che nella sua omelia dice che se non si vede la differenza tra chi ha la fede e chi non ce l’ha significa che chi dice di averla, non ce l’ha. E poi di spegnere la tv. E di recuperare speranza dal passato per il futuro. Parla di figli, di lavoro, di coraggio. Di attingere a Gesù Cristo che è morto per noi. Ed è risorto. Il tutto con spiccato accento bolognese.
Alle 11.25, dopo che sono rimasta seduta dieci minuti a fare scricchiolare fortissimo una lunga panca sotto ad un enorme tela in un corridoio dell’Arcivescovado, il Cardinale, mi accoglie con calore autentico, generoso. Si interessa della mia famiglia, mi chiede come è stato il viaggio, si assicura sia andato tutto bene. Sorrido al punto che quasi gli occhi mi si socchiudono.
Eminenza, innanzitutto grazie di averci concesso questo incontro. Oggi è un giorno mariano, l’anniversario delle apparizioni di Fatima e, ricorrenza ben più modesta ma per noi importante, sono 4 mesi esatti dalla nascita del nostro quotidiano: La Croce. Piccolo ma pugnace. E libero. Mi sono trovata coinvolta in questa impresa senza particolari meriti se non l’audacia del direttore e di qualche amico che ha fiducia in me! È nato come strumento per la battaglia contro i “falsi miti di progresso”, secondo la felice espressione dei 4 moschettieri (Mario Adinolfi, Padre Maurizio Botta,Costanza Miriano, Marco Scicchitano) che hanno iniziato a fare incontri nelle periferie romane dicendo in sintesi una sola cosa: le persone non sono cose. Sta terminando la proroga del mandato come Arcivescovo Metropolita a Bologna.
1- Cosa lascia e cosa porta con sè dal popolo cristiano di Bologna e dalla città tutta? Dove andrà? Si può dire?
Non rispondo perché non ho mai risposto a nessuno su questi temi. Il genere autobiografico è un genere che proprio non amo..(sorride)
Mi racconta di avere recentemente invitato la Dottoressa Chiara Atzori, Infettivologa, molto esperta di omosessualità, per parlare con i preti. Assai preparata, è stata molto apprezzata dai sacerdoti. Mi ricorda anche con particolare gusto l’episodio dell’incontro con Costanza Miriano in Piazza S. Pietro mentre andava a pranzo col Card. Burke. Durante il breve incontro ci fu un riferimento alla pazienza del marito. Ride di gusto. Ha grande simpatia per la nostra Costanza..Non è che stesse alludendo anche a me e alla verbosità dell’imminente intervista che Gli si dispiegava davanti in tutti i suoi fogli?
Mi rassicura il fatto che non abbia espresso solidarietà nei confronti di mio marito (che sia perché non gliene ho lasciato il tempo?).
2-Considerando che l’affermazione “le persone non sono cose” è ancora esperienza di popolo, condivisa da larghi strati della società, prima di tutti gli schieramenti, come si è arrivati ad un “tale oscuramento della ragione” da lasciarci sedurre o da non reagire tutti con forza di fronte a leggi e costumi che invece tendono a trasformare le persone, tutti noi, in cose?
Io penso che il segno più chiaro di questa riduzione delle persone a cose, dell’essere “qualcuno” all’essere “qualcosa”, sia il modo con cui è trattato il bambino. Si ha una trasformazione, chiamiamola così, del bambino da soggetto di diritti fondamentali ad oggetto dei diritti degli adulti. Perché è il test fondamentale?Perché il bambino è solo persona. Mentre le altre persone sono persona umana e “qualcuno che …”, “qualcuno che esercita una funzione pubblica” e così via.. il bambino è solo bambino, solo persona. È un soggetto a cui non si lega nessun altro attributo. In questo senso diventa un test fondamentale su come la società vede o non vede la persona. Detto questo vengo più direttamente alla domanda. Come si è arrivati a questo oscuramento? Secondo me le cause sono principalmente due, molto legate fra loro.
La prima è quella che possiamo chiamare lo “spirito del tempo” in cui viviamo, dove la fede cristiana è stata progressivamente emarginata. Ora non dimentichiamo, e la storia lo dimostra ampiamente, che il concetto di persona è stato generato ed è generato (questa concetto detto al passato e al presente io credo che significhi che sussiste solo se è continuamente generato, ndr) solo all’interno di una cultura radicata nella fede cristiana. Perché è solo la fede cristiana che può generare un concetto come quello di persona? L’evento cristiano della salvezza è stato annunciato per primo a chi non era considerato persona nella società del tempo: ai pastori. I pastori non erano considerati soggetti di diritto. Quando questa gente si è sentita fare questo annuncio, dentro di sé non potè non aver pensato «ma allora io sono importante davanti agli occhi di Dio; sono prezioso perché Dio stesso si prende cura di me». Nella coscienza dell’uomo si è accesa una luce che gli ha fatto vedere per la prima volta che essere persona è essenzialmente più che essere qualcosa. Ma se noi sradichiamo la nostra cultura dalle radici cristiane, il concetto di persona gradualmente scompare.
L’altra causa che vedo è questa: quand’è che una persona si sente veramente tale? Cioè si sente insostituibile? Si sente non interscambiabile? Si sente non un numero di una serie? Solo quando si sente veramente amata. Chi non ha incontrato l’esperienza di un vero amore, chi non ha vissuto questa esperienza, non può raggiungere la consapevolezza del valore della persona. Ma tendenzialmente considererà se stesso un individuo. E avrà rapporti con gli altri solo di carattere contrattuale. Vediamo ogni giorno le conseguenze di tutto questo.
3- Ma che cosa è una persona? Cosa ci rende così radicalmente indisponibili?
Ultimamente il fatto che ogni persona è “a immagine e somiglianza di Dio”. Il racconto della creazione, il primo racconto della Genesi, che è anche il primo capitolo della Sacra Scrittura, pensa l’atto creativo di Dio come la costruzione di un edificio dentro al quale deve essere posto come un re, per così dire, la persona umana. Di nessuna creatura il Creatore dice che è a sua immagine e somiglianza. Anzi il racconto è come se avesse in quel momento una pausa. Quasi che Dio si consigliasse con Se stesso. Mentre per le altre creature c’è solo il fiat, quando si sta per compiere la creazione dell’uomo c’è come una pausa. E’ come se Dio pensasse quale grande essere stesse creando. E dice: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza». Pertanto ogni volta che tu hai a che fare con una persona umana, indipendentemente da età, salute, malattia, uomo o donna, tu hai a che fare con qualcuno che è sacro, su cui è stampato il sigillo di Dio stesso. Pensare che si possa custodire il valore incondizionato della persona umana anche senza Dio, si è rivelato la più tragica delle illusioni nella nostra storia. Il secolo chiuso da poco lo ha ampiamente dimostrato.
Eminenza, passiamo a parlare di quella minaccia specifica ed estesa che è l’ideologia gender.
A questo proposito Lei ha messo in guardia i giovani della Sua città da una malattia specifica: la “cataratta” che impedisce di vedere lo splendore della mascolinità e della femminilità (Messa delle Palme, 2015, Bologna).
“ Cari giovani, voi sapete che una delle malattie che impediscono all’occhio di vedere è la cataratta. E’ come se avessero messo un velo dentro l’occhio, impedendogli di vedere la realtà come è. Esiste oggi una cataratta che può impedire all’occhio che vuole vedere la realtà dell’amore, di vederlo in realtà. E’ la cataratta dell’ideologia del gender che vi impedisce di vedere lo splendore della differenza sessuale: la preziosità e lo splendore della vostra femminilità e della vostra mascolinità.” Mio figlio aveva le cataratte congenite e avere la cataratta appena nati è ben più grave che averla da anziani.. la visione deve svilupparsi subito, cresce con la persona altrimenti resta gravemente deficitaria.
4- È così anche per i giovani? Stanno rischiando un deficit permanente o nelle cose dello spirito la rinascita è sempre possibile?
Io credo che questo sia il vero nodo della educazione. Vale a dire tu educhi un giovane nella misura in cui lo introduci nella realtà e nella positività della realtà – positiva come posita, nel senso che è data? – Sì, esatto! Lo aveva visto anche Platone nel famoso mito della caverna. Quando vede l’uomo come destinato alla schiavitù delle opinioni, fino a quando non guarda verso il sole. Fino a quando non scende un giusto dentro alla caverna che liberi quegli schiavi delle ombre. Questo è il nodo. Ora è possibile aiutare i giovani a guarire dalla cataratta? Io credo di sì. Sono profondamente convinto che è possibile. Purché però si abbandoni quella che io chiamo la “pedagogia del consenso” e si percorra la “pedagogia del Maestro interiore”. Mi spiego. Io non ho fatto studi di storia delle dottrine pedagogiche, però la mia esperienza di insegnamento di 30 anni coi giovani in Università e di 20 anni di episcopato mi hanno mostrato che ci sono due proposte educative. Due sole fondamentalmente.
La proposta che segue la pedagogia del consenso, e che consiste nel seguente principio fondamentale: “è indifferente CIO’ CHE io ti propongo, ma il problema fondamentale è il COME te lo propongo. Ti devo convincere che devi seguire la mia proposta. Quindi il mio problema di educatore è di avere il tuo consenso, prescindendo da ciò che ti sto dicendo”. Partendo dal presupposto che non esista una distinzione di vita giusta e vita ingiusta, buona e cattiva, bella e brutta; che non esista una verità sul bene e sul male, partendo da questo presupposto, in sostanza si cerca semplicemente di esercitare un potere sul giovane che si ha di fronte. La seconda proposta educativa l’ho imparata dall’esperienza, ma sono riuscito a teorizzarla leggendo S. Agostino. È la pedagogia del maestro interiore e consiste in questo: che al giovane io dica «ti faccio questa proposta perché ritengo, io adulto, io insegnate, io genitore che questa proposta di vita sia vera, sia buona, sia giusta, sia bella. Io te la propongo. E al giovane che chiede «perché mi dici che è vera, bella, buona, giusta? », io educatore rispondo non «perché te lo dico io», ma «ascolta il maestro interiore. Ascolta il tuo cuore. Prova a vedere se si ritrova in questa proposta. Prova a verificare questo». Alla fine è come dire: «Prova, e poi verifica se il tuo cuore è felice nel seguire questa proposta».
Alla base della pedagogia del maestro interiore sta un fatto sul quale Agostino ha scritto pagine stupende: non siamo noi a possedere la verità; è la verità a possedere noi. Faccio un esempio, immaginando di stare davanti ad un giovane. Ti è detto continuamente: «fai agli altri quello che gli altri fanno a te». La regola di rame, si chiama. Però altri ti hanno detto: «non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te». La regola della prossimità. La regola d’oro. Ora ti senti fatto più per la prima o per la seconda? Il tuo maestro interiore cosa ti insegna? Vuoi essere… rame o oro? Questo grande dilemma educativo è stato la materia del contendere di Socrate coi sofisti. Socrate venne accusato di corrompere i giovani, e condannato a morte per questo. Chi educa secondo la pedagogia del maestro interiore, genera persone libere e non schiavi. E il potere preferisce avere degli schiavi.
Sì, la rinascita è possibile. Purché si decida tutti di percorre la via del maestro interiore e non quella della produzione del consenso. Che poi – e finisco- in realtà, detta così sembra una teoria complicata, ma nelle normali famiglie è questa la via che percorrono i genitori. Io mi ricordo in un incontro coi genitori nel quale ho spiegato le due pedagogie. Ad un certo punto una mamma si alzò e disse: «Eminenza, quello che sta dicendo Lei è la teorizzazione di quello che noi genitori nella vita quotidiana cerchiamo di fare coi nostri bambini.. ».
Quella mamma aveva capito tutto. Il genitore fa la proposta che sa che è vera e giusta e richiama il bambino: «guarda me [tuo padre e tua madre]». Il bambino comincia ad ascoltare anche lui la voce del maestro. E si genera una persona libera.
Non si diventa adulti senza verità.
In un’altra occasione della vita della Chiesa Bolognese ha invitato con forza e anche entusiasmo i genitori a riprendersi il proprio formidabile compito educativo, di introduzione dei figli alla realtà intera secondo i propri valori e secondo la propria identità, esercitando la propria autorità (Incontro con i genitori dei cresimandi, S. Petronio, Bologna 15 marzo 2015).
“Consentitemi di terminare con una riflessione che avrei preferito non proporvi. Ho appena detto che la famiglia non può abdicare alla responsabilità educativa. Anche nei confronti della scuola. Non nel senso che il genitore debba insegnare..la matematica al professore di matematica. Ci sono competenze che vanno rispettate.
Ma quando si impone la trasmissione o l’insegnamento di ideologie che i genitori giudicano non avere alcun fondamento sulla realtà, essi hanno il diritto di dare o non il loro consenso.
Per uscire dal vago, sto pensando alla teoria del gender. Essa è semplicemente la distruzione dell’alfabeto della comunicazione umana. Dovete sapere che cosa si intende trasmettere con questa teoria ai vostri figli, e prendere l’iniziativa anche di impedire un indottrinamento obbligatorio. Il Signore vi protegga nella vostra mirabile missione di far fiorire l’umanità dei vostri figli.”
5- E’ un avvertimento forte quello che ha lanciato ai genitori. In che senso questa ideologia minaccia le basi, i mattoni della comunicazione umana? Colpisce la comunicazione tra gli uomini o anche quella tra l’uomo e Dio?
Parto proprio dall’ultima parte della sua domanda. Se noi guardiamo il linguaggio che Dio ha usato quando ha rivolto la Sua parola all’uomo, ha sempre usato l’alfabeto che si radicava nella differenza sessuale. Israele è la sua sposa. Dio è il Padre. Di solito si dice l’espressione “viscere di misericordia”. Nell’ebraico l’espressione è “l’utero di misericordia”. È immagine tipicamente, esclusivamente femminile. La storia umana nella Bibbia comincia colla creazione della persona umana maschio e femmina, e termina con l’invito ad un banchetto di nozze. È questo il linguaggio di Dio. Se noi lo distruggiamo, la Parola di Dio ci diventa incomprensibile. Assolutamente incomprensibile. Perché, chiediamoci, ha voluto usare questo alfabeto? Per una ragione profonda e semplice: perché Dio ha creato la persona umana maschio e femmina. L’atto creativo stesso di Dio ha posto, ha voluto che l’umano avesse la forma della mascolinità e della femminilità. «Maschio e femmina li creò. A sua immagine li creò». Che vuol dire che l’immagine di Dio nell’uomo la si ha nella relazione che esiste fra l’umano maschile e l’umano femminile. Questo è detto nel primo capitolo che apre la Bibbia.
Nel secondo è detta la stessa verità in un modo ancora più suggestivo, laddove si narra la creazione della donna. La ragione per cui il Signore Iddio crea la donna è perché «non è bene che l’uomo sia solo». Vale a dire: se tu prendi solo un’ espressione dell’umanità, in quel momento tu riduci l’umanità stessa. Nel momento in cui Dio crea l’uomo, lo crea per la comunione interpersonale, la quale trova il suo archetipo basilare nel rapporto interpersonale uomo e donna. E qui si vede come questa ideologia (ideologia gender, ndr) distrugge l’umano.
Credo anzi che non ci sia una ideologia più distruttiva di questa. Sono convinto di questo. Ne abbiamo conosciute altre; ma per me erano aranciate in confronto a questa. In fondo è come se si dicesse «di metà del genere umano io non ne ho bisogno, è un di più. Non so che farmene, basto a me stesso».
Perché uso il termine ideologia? Perché non è una teoria. La teoria è un tentativo di spiegare la realtà; la ideologia prescinde dalla realtà. La teoria chiede di essere verificata dalla realtà e a seconda del risultato della verifica diciamo di essa è vera o falsa. L’ideologia non si richiama alla realtà; è solo l’esercizio di un potere politico che ti impedisce di guardare alla realtà perché ha paura della realtà, come ne ha paura ogni potere. Ancora un’altra riflessione su questo. Direi che è il segno, il punto d’arrivo di una disgregazione che è accaduta nella coscienza umana occidentale: la separazione del corpo dalla persona. Posta questa separazione, l’esito non poteva che essere questo: il corpo è insignificante. Non è veicolo di nessun significato e quindi esso ha il significato che decido di dare. Tutto ciò che in qualche modo potrebbe essere pensato come radicato nel bios, nel corpo, in realtà è costruzione artificiale della società. (Secondo questa separazione, ndr) Quando ho a che fare col corpo non ho a che fare con la persona. I primi a rendersi conto di questo errore, sono stati i medici. La medicina si è resa conto che non poteva curare, avendo solo attenzione al corpo ammalato perché era la persona che era ammalata, essendo ammalato il suo corpo. Oggi su questo i grandi medici sono tutti d’accordo. Ho anche fatto una lunga lezione alla società medico-chirugica di Bologna proprio su questo tema, su questo sviluppo che la medicina moderna – grandissima impresa scientifica – ha avuto.