Giocando in casa, anzi all’oratorio

Da Verona Fedele, 8 maggio 2016, p.22, Francesca Gardenato.

In vista dell’incontro che si sarebbe svolto il giorno dopo, 9 maggio 2016 alle 21.00, presso l’oratorio di Santa Maria di Lugana, a Sirmione.

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Che cinema!

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“E ora siete legalmente e ufficialmente i miei figli adottivi” (e qui il volume e il ritmo dell’eloquio cambiano. Sembra un ordine dato in codice. Deve piantartisi nel cervello e far scattare un qualche riflesso condizionato. Infatti le mie bambine, mamma delinquente che sono ad averle portate, se la ricordano eccome e l’hanno ripetuta proprio con quel tono lì).

“Siamo ufficialmente e legalmente tuoi figli, Dave! Che giornata!”

Vado un po’ a memoria. Comunque finisce così la visione di uno dei lungometraggi Family del tempo natalizio: Alvin Superstar Nessuno ci può fermare! Finisce così,  se si esclude la coda della scena con il disastro domestico causato da veri scoiattoli lasciati in casa dai chipmunks umanizzati per coprire la loro fuga. Erano fuggiti da casa per raggiungere il padre percepito perché erano convinti stesse per fidanzarsi con una donna (che banalità) e questo avrebbe implicato la convivenza sgraditissima con l’eventuale fratellastro.

La scena clou è quella in cui Dave a sorpresa conduce i suoi tre amati chipmunks davanti ad un giudice Usa che è, nell’ordine, donna, nera e con i capelli corti e grigi.

Bisogna riconoscere che prima di condividere con questa famiglia il trionfo del loro riconoscimento legale e ufficiale ci si gode una cinquantina di minuti di immagini simpatiche, battute simpatiche e pulite e musiche impossibili da non ballare almeno con qualche ritmica alzata di spalle.

Durante la visione alla quale ho sottoposto le mie entusiaste figlie e due loro amiche con relativa mamma ho notato diverse battute e immagini, inquadrature, frasi a effetto tutto orientate in una direzione. E ho notato anche cose lasciate cadere con nonchalance , messe lì sullo sfondo mentre la vicenda avviene in primo piano e lasciate cadere allo stesso modo sul fondo della coscienza degli spettatori.

Ad esempio sono più che certa che verso la fine delle peripezie dei chipmunks con maglione e sneakers mentre si trovano in aeroporto dove finalmente di nuovo potranno salire su un aereo, si vedano passare dei passeggeri comparse. Diversi da soli, qualche coppia uomo donna e almeno una saffica in atto di scambiarsi sorrisi e tenerezze varie. Roba di un attimo. Ma ad una un po’ fissata e pentita di essere lì come ero io non poteva sfuggire.

Prima invece,  durante le rocambolesche avventure dei tre figli adottivi di Dave e il figlio bullo ma in realtà buono di Dana (La chiama così mio marito; sempre in onore della sua partecipazione, a lui graditissima, a La vita secondo Jim) il ragazzo, l’unico umano del gruppo , commenta più consolato che sconsolato che la figura del padre è molto sopravvalutata. Lui non ce l’ha più vicino il padre. È figlio della sua bella ed affermata mamma medico (Sig.ra Boldrini, ahimè nostra illustrissima Presidenta, mi spiace ma in questo caso non si riesce a pronunciare il femminile. Io almeno non riesco. E ho più rispetto per me e per il nostro sesso a volte gentile e a volte no per pensare che il riconoscimento della nostra vera e piena dignità possa passare dalla molestia insistente perpetrata ai danni del magnifico italico idioma). Non gli serve un padre. Chissà.

La bella Dana (si chiama Samantha il personaggio che interpreta nel film) che i tre scoiattoli senza coda e con la voce perennemente in falsetto rabbrividiscono nella ingannevole convinzione che il padre adottivo presto sposerà, si scopre sollevata- con un’enfasi che ogni uomo degno di questo nome riterrebbe offensiva –  dal fatto che l’anello di fidanzamento che Dave porta in viaggio non sia destinato a lei. Cioè mi piaci, sembra dire, sto bene con te, andiamo alla grande io e te; ce la spassiamo in vari modi , ma sposarsi no, no, no! Non mi interessa. Non adesso almeno.

Altra figurina attaccata all’album del pensiero unico dominante anti umano.

Figli che spuntano chissà da dove. Padre addirittura di un’altra specie. Madre inesistente. Figlio che disprezza il padre e il valore della paternità tout-cout, gettando a mare secoli di civiltà in un ciak. Essere genitori diventa espressione di un desiderio e il desiderio, ormai polo magnetico per ogni atto pubblico, deve esigere la propria ratificazione istituzionale. Io lo desidero quindi tu Stato me lo devi riconoscere.

 

Durante la traversata degli States da New York  a Miami i quattro figli di non si sa chi sono inseguiti dal poliziotto delle linee aeree e con lui ad un certo punto si trovano coinvolti in una carnevalata musicale a New Orleans. Il poliziotto si sveglia la mattina dopo sul pavimento di una stanza di un motel seminudo e tatuato con un altro uomo accanto, molto accanto e altrettanto semi.

Sembrano i postumi di un Gay Pride. Semplificando ed esasperando. Ma semplificazione ed esasperazione non sono mie, sono di chi lo propone. Ai bambini. Capite?

Anche le innumerabili e sempre in onda serie tv di cartoni contemporanei sono in rotta di collisione con la famiglia. Non la rappresentano. Non c’è mai. Bimbi e fatine e coniglietti e orchetti tutti felici. Al massimo c’è qualche maestro (Tipo nei Bubble Guppies o in Fragolina Dolce cuore). Ma io mi ricordo personalmente anche un cartone giapponese degli anni ’80.  Ne canticchiavo la sigla. Che mi spaventava: “Dal Nulla arriva Nanà/e lei passato non ha, creata da uno scienziato che da padre le fa…”. Non bastava a rassicurarmi la molesta voce tutta guizzi e saltelli di Cristina d’Avena. Mi chiedevo, da sola, tra me e me, il perché. E mi chiedo, ora: perché non ho chiesto alla mia mamma? Che era sempre lì? Della quale mi fidavo? Non lo so, a volte i bambini le cose le pensano tra sé e sé e si danno da soli delle spiegazioni. Questo aggiunge tremore a timore.

Un altro tormentone per il quale mi sono attirata risolini di compatimento e diverse scosse di teste è il mio perfettibile tentativo di decriptare Frozen.

È un film d’animazione davvero bello. Musiche, personaggi, battute, musica…tutto è davvero affascinante.

E lì abbiamo una famiglia reale intera: madre, padre e due figlie.

Peccato che questi genitori così buoni e bene intenzionati non ne azzecchino una. Anzi una sola; quando portano Anna dai Troll perché la liberino dall’effetto del potere di Elsa che lei povera cucciola non sa come gestire.

Poi invece salendo sulla nave entrambi per un viaggio importante salutano le figlie dicendo loro di stare tranquille che sarebbe andato tutto bene. Moriranno entrambi.

Non prima di avere convinto Elsa a reprimere del tutto la sua forza, la magia con la quale è nata. E così costringendola a separarsi dalla amatissima sorellina che la ricambia con un affetto struggente e per gli anni a venire condannato ad infrangersi contro una porta chiusa.

 

In sintesi in Frozen ho notato questo: il vero amore è tra femmine. Semplifico ed estremizzo perché nel film c’è molto altro. Però si impone potente questa immagine: le due sorelle tra loro si feriscono e si salvano. L’atto di amore vero avviene tra loro. Il cervello, che assorbe immagini come una spugna, si lascia persuadere con l’impatto di figure e significati semplici, con la forza di ragionamenti anche solo pseudo logici.

Giocano tra loro, le femmine, e con il ghiaccio. E con un pupazzo che ha una lunga carota come naso. Lo so, anche mio marito su questo mi ha deriso. Non credo sia un caso né il nome del posto, né quello delle protagoniste, nè quello del regno retto da sole femmine Arendelle, sebbene sia una località esistente (ci vedo dentro un allusione ermafrodita o androgina. Aner, andros, + Elle..).

Il maschio più salvabile canta e si squaglia d’amore amicale per la sua renna puzzolente quanto lui. Condivide con la bestia la carota, sempre lei, tutta sbavata e detesta il resto del genere umano. Per altro anche di lui non si conoscono i genitori. È stato adottato da piccolo da una colonia di sassi coperti di muschio che si animano a richiesta (i Troll, per l’appunto).

Inoltre anche in Frozen come in altri prodotti e narrazioni dedicati ai bambini, ci sono le cose al contrario di come dovrebbero essere. Perché mai il pupazzo di neve dovrebbe amare il caldo afoso? Abbiamo quindi in giro così tante nature mal interpretate dai corpi che sono toccati loro in sorte?

Frozen poi significa congelato. Come altre cose crioconservate? Non so, sarò matta io.

Ma lì alla Disney quando preparano la granata da far brillare davanti a miliardi di coppie di occhi sgranati e sognanti di bambini ci pensano bene, quando fanno le cose.

Esiste poi il capitolo maschi. In Frozen, come già in Maleficient (dove le figure dei genitori naturali sono fatte a pezzi, ma anche lì c’è un livello positivo della storia e uno di sfondo, di cornice che invece attacca la compagine sociale più semplice e strutturante che è la coppia uomo donna che accoglie figli), troviamo esemplari di inetti e altri di biechi opportunisti. Hans usa Anna che è la più debole per arrivare al potere.

Kristoff, venditore di ghiaccio al Polo Nord,  ha tanti lati nobili ed esprime comportamenti anche molto positivi; ciò non toglie che non possa rappresentare in niente l’ideale virile.

Nelle fiabe non cerchiamo l’impasto realistico di buono e cattivo, alto e meschino che già troviamo nella vita di tutti i giorni; abbiamo bisogno di imparare gli ideali di bene e di male perfetti, nella loro inafferrabile purezza ai quali tendere e dai quali rifuggire così che possiamo più facilmente riconoscerli per l’appunto ben mescolati nel guazzabuglio della realtà umana.

Credo ci siano, in tanti film d’animazione e non, diversi livelli di lettura e diverse chiavi di accesso. E trovo questa cosa assai pericolosa. Resta un livello superficiale di accettabilità e di normalità per lo meno percepita; ma sotto traccia qualcuno vuole veicolare altro. Per quanto riguarda la Disney non parliamo nemmeno dei simboli massonici disseminati ovunque (pavimento a scacchi; tempio massonico; sole e luna; squadra e compasso,…) Ok; iscrivetemi al gruppo di aiuto per complottisti e dietrologi. (In ogni caso non ci andrò perché lo temo manipolato da qualche lobby segreta).

Dal punto di vista psicanalitico ho trovato ad esempio una lettura interessante della storia che si dipana in Frozen; le due sorelle sarebbero la stessa persona che vede una lotta titanica tra la parte sana e vitale e quella sofferente e distruttiva. Insomma sono molti i blogger con sale in zucca in giro per il web.

 

Anche per quanto riguarda le serie tv animate in onda su Sky e su Premium ho notato molti tratti comuni. Soprattutto per quanto riguarda ciò che manca (i genitori! Fatta salva Peppa Pig e la grande figura di uomo e padre che si staglia gagliardo su schermi e stickers di tutti i bimbi del mondo, Papà Pig) e per alcuni stratagemmi sempre presenti. Ribaltamento e confusione.

Per gli orchi delle Little Charmers tutto ciò che è brutto è bello ma non dicono “bello!”. Dicono “Che schifo!”, perché mi ha spiegato Isabella, parlavano anche al contrario. Verde e puzzolente è bello.  La festa di matrimonio fatta male, piena di disgustosi addobbi e dall’atmosfera truce è brutta (cioè bella). Ricordatevi bambini: quello che è bello è brutto e quello che è brutto è bello. Non potrebbe essere davvero questo l’intento di chi confeziona o fa confezionare questi articoli?

Tornando al Cinema ho visto anche Hotel Transilvania 3. Mi ha fatto ridere e terrorizzato anzi, inorridito insieme. Sempre lo schema del ribaltamento. Quello che sembra brutto è bello. Cantano una ninna nanna che sembra un salmo demoniaco…

Già così Monster and Co. I mostri, i cattivi che devono fare paura ai bambini invece no sono buoni e si possono avvicinare. È bello, fanno ridere! A me e alla mia fervida immaginazione pare invece un adescamento pedofilo.

Sicuramente possiamo ricavarne una rubrica annuale e scriverne in abbondanza ogni giorno, per cui chiedo scusa della velocità e approssimazione, ma occhio. Non c’è tempo. Attenzione. Sono in corso attentati morbidi e zuccherosi a danno dei nostri figli, nipoti, figli di amici e di sconosciuti comunque parte della nostra società. Ci sono insidie perpetrate alle nostre psiche e dei nostri bambini e non ce ne accorgiamo.

Alvin superstar, nessuno di quelli che dormono (come me durante le vacanze natalizie!)  vi può fermare ma quelli svegli e fuori dal cinema sì.

 

Articolo già pubblicato per La Croce quotidiano. Sosteniamola http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora

 

 

“Siamo qui riuniti a causa di un uomo.”

“Siamo qui riuniti a causa di un uomo. Un uomo conosciuto personalmente da tanti di noi, e conosciuto per reputazione da molti altri; un uomo amato da tanti e disprezzato da altri; un uomo conosciuto per le grandi controversie e per la grande compassione. Quest’uomo, naturalmente, è Gesù di Nazareth” (Dall’Omelia di Paul Scalia per il padre, il giudice Antonin Scalia, 20 febbraio 2016).


Prendo volentieri queste parole per consegnarvi le nostre, sincere, commosse e insieme certe in ricordo del nostro amato zio Ivo, morto nella notte tra il 1 e il 2 marzo appena scorso, dopo aver vissuto intensamente i 76 anni che Dio gli ha concesso.

“Caro zio.. la vita ti piaceva tanto. Anche se non ci vedevamo spesso, bastava una delle tue sonore risate, un tuo generoso abbraccio, bastava guardare i tuoi gambali infangati; l’amore riflesso negli occhi di Leda, Cristina e Stefania per capirlo. Anche lo scodinzolare dei tuoi cani da caccia lo diceva chiaramente. E quando da piccoli venivamo a trovarti, sentivamo la tua voce per aria, già dalle scale, appena aperta la portiera della macchina; e poi scorrazzavamo per il tuo immenso magazzino, salendo sui pallet carichi di ceramiche, sulle scalette degli scaffali; saltavamo in continuazione sulla bilancia.. tu bonario, ci riprendevi con il sorriso incorporato. Ti piaceva tenere le tue ragazze sotto la tua ala protettrice e accogliere i clienti come se li conoscessi da sempre; hai sparso la tua giovialità e il tuo amore alla vita con abbondanza.

Hai seminato tanto; e tanto, sicuramente, raccoglierai.

Grazie Signore di avercelo donato, te lo riconsegnamo.. anche se è dura, perché molto ci mancherà, ma siamo certi che tutto quanto piaceva ad Ivo, glielo farai ritrovare centuplicato nel tuo regno; Tu ce l’hai promesso, sappiamo che sei un Dio fedele e in Te speriamo.

Ciao Zio.”

Marcello Belletti

 

Caro, a noi tutti carissimo zio. Qui davanti al tuo corpo che solo provvisoriamente hai abbandonato al comando del Tuo Creatore, noi rendiamo grazie a Dio per te. Per la grazia di di averti conosciuto. Grazie per come hai vissuto, per quanto e quanti hai amato e per come virilmente hai affrontato questa malattia così rapace, la sofferenza e la morte che sapevi sarebbe arrivata.

A noi nipoti che troppo poco ti abbiamo abbracciato manchi già profondamente. Ci mancano la tua andatura, la tua voce sempre un po’ per aria, le tue vivide espressioni, il sorriso largo. E i racconti delle tue avventure. Quando la mamma ci raccontava di te c’era spesso da ridere e sempre di che essere orgogliosi: “questo è mio zio!”, pensavo…

Per questo vogliamo consolare la tua amata moglie Leda e le tua figlie, che adori; i tuoi nipotini e tutti i tuoi cari più intimi, perché sappiamo che lo strappo che hanno subìto, dopo averti a lungo goduto, brucia in quest’ora di un’intensità quasi insopportabile. Per questo ci stringiamo a loro e alla tua cara sorella, nostra mamma. (La Stefy ci ha riferito che uno degli ultimi giorni hai detto “Io ho una sorella che è ancora bella!”); il vostro legame così intenso lo hai volentieri esteso, ricambiato con entusiasmo intero, a tuo cognato, nostro papà. La mamma dice che vi siete piaciuti fin dall’inizio, amati e stimati per sempre. Ha pianto mio papà. E lo aveva fatto credo altre due sole volte.

I nostri figli, soprattutto i più piccoli, ti hanno voluto bene alla prima occhiata. Perché così fanno i cuori puri: si attaccano al volo a chi è buono e testimonia la bellezza entusiasmante della vita, come facevi tu. Un uomo pieno di vita sei stato. Traboccava da te la vita, semplice e positiva. Anche dai tuoi difetti e dalla tue intemperanze!

Un uomo, come ha detto mio marito, che mostrava in modo inequivocabile di voler bene agli altri. La tua simpatia contagiosa in fondo suggeriva a chi ti incontrava che esiste un disegno buono.

“Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Questa frase di S. Giovanni della Croce, ha detto Matteo, mi fa alla fine esultare perché lo zio Ivo ha molto amato.

E ora noi confidiamo in nome di Gesù Cristo che tu sia nella stupefacente pienezza di amore e verità, nella vita che è tutta carità e gioia scritta come una promessa in tutti i nostri cuori e che tu, nostro caro zio, mantenevi così fresca e accesa, come fossi un fanciullo. Me lo hanno ricordato, qualche sera fa, i coniglietti che razzolano tranquilli per il tuo giardino.

Con l’affetto ferito da un’acuta nostalgia accettiamo di separarci da te; ora la fiducia nella Misericordia di Dio diventa attesa certa di godere con te, quando sarà il momento, il Paradiso.

I tuoi nipoti, Marcello, Massimiliano, Paola, Leonardo

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Desiderabili effetti collaterali

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Siamo arrivati in tempo.  Undici e quaranta circa. Lo dico per i nostri amici bresciani che ci hanno dileggiato via Whatsapp e Facebook perché loro a mezzanotte stavano già partendo e noi invece avevamo in programma di avviarci alle cinque e quarantacinque. Sì, siamo stati al Family Day. Siamo stati, anche noi, il Family Day.

Noi, che ogni giorno è il giorno della famiglia, ma non come il film “il giorno della marmotta” per cui tutto ricomincia da capo ogni volta e siamo intrappolati nello stesso giorno identico a se stesso. Ogni giorno è giorno della famiglia perché noi e l’altro milione e novecentomila arrotondati per difetto (dato della questura) che ci siamo portati belli e disarmati al Circo Massimo siamo famiglie. Veniamo da famiglie. Ci dibattiamo dentro le nostre famiglie. Ne vogliamo testimoniare la bellezza, certo, ma non perché siamo particolarmente simpatici o particolarmente integri moralmente. La bellezza della famiglia è da imputare innanzitutto alla sua esistenza. E ora, malgrado noi, malgrado la nostra natura tutt’altro che bellicosa, ne dobbiamo mostrare la resistenza. Esistiamo e resistiamo. Involontari salmoni risaliamo una corrente che tira altrove.

Anche un po’ balenottere spiaggiate eravamo,  per la verità, una volta rovesciatici esausti sulla rena del Circo Massimo; dopo mezza dozzina abbondante di ore di vibrazioni che l’autostrada trasferiva dal suo manto al nostro sedere per mezzo degli pneumatici (si dice gli pneumatici non i, scusate, approfitto:  ho delle istanze personali da portare avanti) del nostro glorioso Scudo Fiat. Continua a leggere

Ospite di Francesco Agnoli a Radio Maria

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Telefonata a una mamma qualunque sulla famiglia e la maternità. All’interno della trasmissione del 3 gennaio “Tavola rotonda su temi di attualità” dedicata a Legge Cirinnà e utero in affitto.

Dal minuto 60 circa.

Ascolta la trasmissione QUI

 

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Quello che alla Pixar non sanno

 

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È che siamo dei magoni animati.

Ho appena visto al cinema l’ultima fatica della casa di produzione californiana che ci ha regalato – insomma, regalato – cose come Toys, Monster & Co., Alla ricerca di Nemo; si intitola Inside Out. Riuscito lungometraggio animato che rappresenta in maniera felice le principali emozioni che si agitano in noi e che influiscono sull’andamento della nostra esistenza. Sono Paura, Rabbia, Disgusto, Tristezza e Gioia.

È la storia di una bambina, Riley, che nasce e che inizia ad intrattenersi con la vita attraverso la Gioia. «Solo tu ed io,  per sempre»,  ma l’idillio si infrange contro il primo mal di pancia o attacco di fame dopo soli 33 secondi. Inizia l’avvicendamento con le altre emozioni: la tristezza e poi la rabbia, che la difende dalle ingiustizie, la paura, che la mantiene al sicuro come una sorta di bodyguard fifona ma efficace e disgusto, che vigila sui rischi di avvelenamento alimentare e sociale.

È molto divertente vedere la commedia che si svolge in noi e vederla assieme agli altri.

Ci sono i ricordi fondamentali che sorreggono, se così si può dire, i bastioni della sua personalità; e i pensieri che partono solo in veglia come un lungo treno che vede formarsi i binari in tempo reale al proprio passaggio. E in cabina di regia c’è gioia, insieme con gli altri, ma insomma è lei che fa girare tutta la baracca e tutti, pubblico compreso, ne sono rassicurati.

Quando fuori succede un fatto importante (una volta si rovescia una scatola nella mente di Riley che contiene fatti e opinioni  e lì sul tappeto si vede come “tendono sempre a confondersi”) che imprime un cambiamento epocale nella vita della dodicenne allora dentro gli equilibri sono minacciati. Gioia non è più la regista indiscussa; le altre emozioni prendono loro malgrado il sopravento. E tristezza va contenuta, circoscritta il più possibile.

In effetti viene voglia di mandarla via, la tristezza..

Con la duttilità del disegno animato e il mestiere di autori e sceneggiatori, sono riusciti nell’intento di esprimere in maniera comprensibile e gustosa le dinamiche intrapsichiche che ognuno può riconoscere in sé. La complessità interiore è ben suggerita e si capisce che assomigliamo molto più ad universo in espansione che non ad una macchina con ingranaggi ben oliati.

Si intuisce che in cabina di regia, alle spalle dei 5 soggetti così fortemente caratterizzati, c’è un soggetto più grande. Un io libero che decide. Almeno io ho voluto capirlo così. E che non sono solo le emozioni a influenzare le decisioni, ma anche il contrario. Ovvero, se imparo a giudicare diversamente una situazione – la casa nuova, la nuova pochissimo affascinante città di San Franschifo, il clima così diverso da quello delizioso (!!) del Minnesota..-  allora nasceranno anche emozioni diverse. Voilà, questo sarebbe il mio breve sommario con tentativo di chiave di lettura.

Sennonché il mio amico non  immaginario (perché nel lungometraggio ce n’è uno immaginario vero), che non ha il naso da elefante e non piange caramelle, ma è piuttosto surreale e molto divertente – oltre che particolarmente geniale e potrebbe benissimo lui pure aver progettato dei razzi a propulsione canora – , mi aveva telefonato nel pomeriggio per intimarmi di andare al cinema, proprio ieri. Continua a leggere

Per gratitudine 2.

Intervista a Sua Eminenza il Card. Carlo Caffarra, 13 maggio 2015

Pubblicata su http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora, il 28, 29, 30 giugno 2015

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Seconda e ultima parte

Un fronte decisivo dove si giocano le sorti di questo nuovo modello che intende imporsi è proprio la lingua, il linguaggio. Non più attaccato alla realtà ma dissimulatore, manipolatore della realtà. Siamo all’estremo opposto della adaequatio rei et intellectus di S. Tommaso. Alcune cose non si possono più dire: guai a dire “utero in affitto” in tv! È la GPA, Gestazione per Altri. E non è commercio, è altruismo. Guai a dire che due persone dello stesso sesso non possono avere figli perché per procreare servono un uomo e una donna.. Molti rispondono con un’arroganza pseudoscientifica: “non è vero bastano uno spermatozoo e un ovocita” e soprattutto sembra che “basti l’amore”. (questo misconosciuto..). Guai a dire che esiste un mercato di gameti maschili e femminili, che peraltro non si trovano in una teca ma bisogna estrarli dalle persone. Le donne che si sottopongono all’estrazione (invasiva, aggressiva, fatta di bombardamenti ormonali, sedazione, aspirazione follicolare. Non è un intervento a cuore aperto ma è una pratica invasiva) di ovuli sono “donatrici”..Guai a ricordare che un neonato cerca naturalmente il seno materno.. La pratica dell’utero in affitto è orribile, aberrante. Ma ha un mercato!

I Vescovi europei (COMECE e KEK)a Bruxelles hanno firmato un appello in difesa delle vittime di nuove schiavitù. Per il 16% sono bambini. In esse rientra anche la maternità surrogata dove a venire sfruttato non è solo l’utero ma la donna intera, nella sua dimensione più intima e in un momento così cruciale come la gravidanza! Insomma a noi non fanno dire utero in affitto ma addirittura, nell’ordine della verità, è un’espressione troppo soft! Guai addirittura a parlare di reali differenze tra maschi e femmine. Tutte vanno sacrificate sull’altare di una raggelante uniformità, indistinzione. Guai a dire che l’eutanasia o l’aborto sono la soppressione di una persona, trattasi di pietà o di non persone (Il tutto ricondotto nelle magnifiche carte di diritti sessuali e riproduttivi, con tanto di obiettivi da perseguire entro precise date. Il 2015 per parità di genere ad esempio). Io ho pagato sulla mia pelle questo costume diffuso, questo modo di pensare che ha un grande alleato nella burocrazia (perché le leggi creano costume): mio figlio è gravemente ammalato e la cosa si sospettava già in gravidanza. Fino a 22 settimane avrei potuto sopprimerlo. Non sono mancati mai i medici o il personale sanitario che me lo abbiano ricordato, caldeggiato o addirittura rimproverato. Idem a posteriori: perché lo hai fatto nascere? Soffrire è brutto, come sono d’accordo…E allora che facciamo, eliminiamo la sofferenza eliminando il sofferente? Vorrei confessarvi una mia segreta ambizione: dimostrare dati alla mano che mio figlio – e le migliaia di innocenti che soffrono – è anche una ricchezza materiale. Non solo spirituale, o meglio: siccome ha un altissimo valore spirituale allora ha anche un effetto, una ricaduta materiale. Sennò sembra che le cose dello spirito sia elementi evanescenti, strati gassosi senza incidenza sulla realtà. Una presenza positiva non solo per me, mio marito le nostre figlie ma per tutti. Un bene. Io credo che strategicamente l’eliminazione di persone disabili o malate o apparentemente improduttive sia una colossale sciocchezza. Insomma queste persone non sono scarto (come denuncia sempre il Papa), sono ricchezza! Non nel senso di centri produttivi.. spero di essere riuscita a spiegarmi.

6- Forse sbaglio a piegarmi alla logica economica ma sono convinta che il Signore moltiplichi il bene fino ai beni più materiali. Ludovico è un centro di ricchezza, noi diciamo che porta benedizioni. Ma voglio che si possa vedere fino alle ricadute più materiali. Può essere ad esempio che la tenacia della nostra famiglia avrà effetti formidabili sulle performance lavorative delle mie figlie. O che renda ancora più grande la loro capacità affettiva, che contribuisca a consolidare i loro futuri matrimoni. E i matrimoni che durano sono ricchezza sociale. Che dite, sbaglio?

Io ne sono molto convinto e ritengo che questa riflessione oltre che vera sia molto profonda. La ricchezza spirituale alla fine per così dire fruttifica, ridonda anche sul benessere materiale delle persone. Faccio un altro esempio meno personalizzato. Oggi, tutti i grandi economisti sono d’accordo nel dire che un mercato senza etica alla fine non produce. Ma quando dicono “senza etica” non intendono dire che di ciò che hai prodotto, non ne dai una parte in beneficenza. Ma dentro i meccanismi del mercato deve dimorare un ethos vero! Un’etica intrinseca. Un mercato alla fine non produce se non è intrinsecamente etico.Volendo un po’ riflettere ancora su questo fatto .. che è una delle mie preoccupazioni come pastore e come uomo. Possiamo notare come ormai l’ordinamento giuridico degli Stati si stia sempre più riducendo ad essere il nastro registratore dei desideri ingiudicabili delle persone. Questo non era mai accaduto nella storia del diritto occidentale. È significativo il cambiamento semantico. Quando si diceva diritto si intendeva ciò che è giusto. Ius era lo Iustum! Oggi il diritto si è ridotto ad essere semplicemente la capacità soggettiva di esigere qualcosa senza che nessuno possa dare un giudizio su questo che io desidero, sul mio desiderio. Questo paradigma giuridico ha portato ad una società che è diventata la coesistenza più o meno regolamentata di egoismi opposti, nella quale inevitabilmente il più debole sarà considerato scarto. Ecco la cultura dello scarto della quale parla il Santo Padre! Un’altra conseguenza è ciò che i giovani pensano di se stessi. Pensano di essere un di più! «la società fa a meno di me».(Faccio notare a Sua Eminenza che la stessa osservazione l’ha fatta Franco Nembrini o almeno simile. Come se i ragazzi si sentissero quasi in colpa di esserci…è contento, anzi no, non sono contento – dice – di questa cosa! Ma mi conforta sapere che anche un educatore così di esperienza lo dica). L’altra sera davanti alla Madonna di San Luca ho detto: «Ragazzi, diciamo il rosario perché nessuno di voi si lasci derubare la speranza. Poiché questo è il vostro dramma: che voi guardate al vostro futuro non con speranza, ma con paura». Si sentono dei soprannumerari. È inevitabile. Chi ha, tiene ringhiosamente ciò che ha e non lo condivide. Abbiamo sindacati che difendono a spada tratta il lavoro di chi ce l’ha. E chi non ce l’ha ancora? Lei ha toccato un punto fondamentale su cui già Giovanni Paolo II ha scritto pagine mirabili. Bisogna riflettere molto seriamente su questa problematica.

Sembra di parlare sempre delle stesse cose perché sono tutte intersecate. Figli, madri e padri, sposi, giovani..Dobbiamo prendere atto che l’attacco di questa ideologia si concentra con particolare pervicacia sulla famiglia e sull’istituto matrimoniale. Ho avuto modo di leggere una Sua lectio, riportata da Tempi il 13 marzo 2015, all’interno del Convegno “Matrimonio e famiglia. La questione antropologica e l’evangelizzazione della famiglia” tenutosi a Roma il 12 marzo. Mi ha molto colpito la Sua analisi: spiegate il processo di progressiva e imperterrita de – costruzione di tutte le componenti del matrimonio (genitorialità, coniugalità, sessualità, procreazione, relazioni intergenerazionali). Lei afferma esplicitamente che in Occidente il matrimonio non è stato distrutto ma de-costruito pezzo per pezzo.Abbiamo ancora tutti gli elementi che lo costituiscono ma sono stati resi ambigui, non hanno più un significato univoco e non sono più integrati tra loro.

7- Da dove ha inizio questa de-costruzione e che scopo ha?

Dentro al senso della sua domanda si capisce bene l’ideologia del gender. Sono sempre più convinto che la tirannia che si cerca di imporre al riguardo, significativamente partendo soprattutto dalle scuole materne, abbia un obiettivo: la distruzione del matrimonio. Ritengo questa strategia un’opera satanica. È l’ultima sfida che Satana lancia a Dio: «Io ti faccio vedere che do origine ad una creazione alternativa alla tua e l’ uomo seguirà me, e starà meglio nella mia che nella tua». Leggendo la Genesi si vede che sono due i pilastri della creazione: il matrimonio uomo-donna e il lavoro. Ora noi vediamo anche l’attacco che oggi si fa al lavoro umano, negandone il primato. Si è fatto credere che si possono produrre beni senza il lavoro. Poi si è visto che era tutta carta, ma l’idea è rimasta.La distruzione del matrimonio che strada ha seguito? Nella lectio a cui fa riferimento l’ho chiamata la de-biologizzazione del matrimonio. Cioè far credere che il matrimonio non ha nulla a che fare con il corpo delle persone che si sposano, cioè con la persona che si esprime femmilmente e la persona che si esprime mascolinamente. Questa strada ha avuto un inizio ed è quando si è separato il corpo dalla persona.Si è detto che la persona non è il suo corpo ma ha un corpo. La persona è altro dal corpo. Spersonalizzando il corpo, si pone la premessa del pensiero che è matrimonio qualsiasi incontro fra due persone. Stesso sesso o sesso diverso. La sessualità nella sua dimensione biologica non ha referenza con la persona.

Io avevo fatto questa riflessione, posso chiederLe se ha fondamento? È come se il processo di assimilazione fosse al contrario. Sono le unioni eterosessuali che si vogliono fare assomigliare a quelle omosessuali: una relazione con importante contenuto affettivo e sessuale, più o meno durevole e non intrinsecamente collegata alla procreazione.

Certo, è vero. Infatti i figli si producono non si procreano. De-biologizzando l’ amore coniugale non ha più senso parlare della genealogia della persona, perché la persona è prodotta. Di questo è segno ed esito la scomparsa progressiva della figura del padre – e su questo i più attenti lanciano da tempo l’ SOS – perché il padre è il simbolo più chiaro della linea genealogica, l’indicazione del destino, del cammino. Questa è la paternità, come la maternità è custodia e cura. Anche senza essere esperti di biologia, osservando come è conformato il corpo femminile, vediamo che è fatto per custodire, per far rifiorire in sé la vita. E’ nella biologia della generazione che si iscrive la genealogia della persona. L’inizio di questo evento culturale è stato pensare. Che il corpo non è un corpo personale, e che la persona non è una persona corporale. In fondo l’ideologia del genere è il sogno di rendere tutte le persone come degli angeli. È indifferente il corpo che hai. Pascal dice che l’uomo non è né angelo né bestia, e quando vuol essere un angelo finisce per diventare una bestia. Il nostro difficile mestiere è essere al confine tra l’universo della materia e l’universo dello spirito. La sapienza di Dio si è veramente divertita! Creare puri essere spirituali e pura materia son capaci tutti (sic! Sorride..), ma un essere spirituale e materiale insieme è una meraviglia, è una cosa di una bellezza straordinaria. Come si esprime l’incontro tra le persone? Abbraccio, bacio, unione uomo e donna. Mai una donna permetterebbe di essere baciata da un altro uomo come fa suo marito. E tutto avviene attraverso il corpo, che però è corpo-persona.

8- Sempre nello stesso discorso Lei dice una cosa che deve interrogare profondamente noi cattolici, anzi no tutti gli uomini: sappiamo ancora sposarci naturalmente?

Perché il Sacramento eleva a dignità soprannaturale un legame naturale. La Vostra denuncia è che sia questo ad essere profondamente danneggiato, reso quasi irriconoscibile. Il problema oggi è il legame naturale. La capacità di sposarsi nel senso vero del termine è iscritta nella natura della persona umana. Foscolo: « Dal dì che nozze e tribunali ed are/ dier all’umane belve d’essere pietose/di sé stesse ed altrui».(U. Foscolo, I Sepolcri, 90-93). Nozze: gli animali non si sposano. Tribunali: gli animali non hanno giustizia, non risolvono i conflitti richiamandosi alla più giustizia ma al più forte. Ed are: mai visto animali costruire dei San Petronio (Basilica della Città di Bologna, ndr). Sposarsi è iscritto nella natura della persona umana. Ma questa capacità bisogna essere in grado di esercitarla. Perché oggi fatichiamo tanto? Questo è il punto. Il relativismo sul piano intellettuale ha estenuato la capacità della nostra volontà libera. Se io nego una verità che mi precede, che mi giudica, dentro la quale io dimoro, inevitabilmente anche la mia volontà libera diventa inconsistente, non diventa più capace di volere un bene; di volere un bene definitivo, perché un bene definitivo non esiste. Il relativismo genera l’inconsistenza della volontà. E’ come se l’arco del desiderio si fosse allentato per sempre.

9-Se questa è la diagnosi quali sono la cura e la prognosi? Insomma in tutte le occasioni possibili, opportune et importune, Lei ha voluto alzare la Sua voce di Pastore nei confronti del pericolo che la lotta per questi pseudo nuovi diritti provoca.

Se scoppia una pandemia i responsabili della sanità pubblica mettono in atto due strategie: una strategia di urgenza. Chi prende il virus va curato subito. Ma anche una strategia a lungo termine che vada alle cause ultime dell’epidemia. La diversità fondamentale tra le due azioni, quella d’urgenza e quella a lungo termine, è che la seconda esige tempo. Dobbiamo curare la pandemia della inconsistenza della volontà. I giovani sono schiavi del provvisorio. Va curata come meglio si può; ma bisogna mettere in atto anche un processo di cambiamento. Quali sono gli attori, gli agenti di questo processo di cambiamento? I pastori della chiesa e gli sposi cristiani. I pastori della Chiesa hanno una grande responsabilità su questo perché guai se un pastore smette di educare la persona a guardare verso il Principio! Quando a Gesù viene chiesto a quale delle due scuole rabbiniche si iscriveva riguardo la disciplina del matrimonio e della possibilità di ripudiare la moglie, se a quella più rigida o a quella più lassista, Lui ha risposto: “a nessuna delle due. Aggiustate la vista, guardate il Principio, al momento in cui l’ uomo e la donna sgorgano dalla sorgente creativa dell’amore di Dio. Guardate lì e cosa vedete? I due lasceranno la casa e saranno due in una carne sola”. («Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?  Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Mt 19, 4-6). I pastori hanno questa responsabilità educativa. Guai se diventano anche loro schiavi delle opinioni, se si incatenano da sé nella caverna platonica per una malintesa condivisione della condizione umana. Se un cieco guida un altro cieco non cadono tutte e due nel fosso? E’ parola di Gesù. E poi gli sposi cristiani: perché con la loro vita mostrano il fascino della definitività dell’amore, mostrano che è bello sposarsi per sempre. Racconto un piccolo episodio. Anni fa ho incontrato due sposi che celebravano il 70°di matrimonio, 95 anni lui e 93 lei. Mi hanno detto: «dalla testa in su tutto funziona, dal collo in giù non funziona più niente». «Meno male che non è l’inverso», ho risposto. Mi avevano chiesto di celebrare l’eucarestia giubilare nella mia cappella privata. Essi vedevano il compiersi della benedizione che il sacerdote dà alla sposa nella celebrazione del matrimonio: hanno visto la 4° generazione. L’ ultimo era nato qualche settimana prima. Dopo la S. Messa, ci siamo fermati un momento, ed io ho detto: « 70 anni di matrimonio! Che noia!».«Eminenza, ma cosa dice? Ma lo sa che ci amiamo più adesso di quando ci siamo sposati?». «Volevo sentirvelo dire davanti a questi ragazzi. » (i loro nipoti, ndr)

L’amore, la logica dell’amore è la definitività, non la provvisorietà. Se Dio ci amasse provvisoriamente saremmo disperati. Il segno visibile della definitività dell’amore sono gli sposi cristiani. Suscitano nostalgia, attrazione verso ciò che è bello. 

10- Ha ricevuto molte manifestazioni di ostilità, non è vero? Conosciamo anche noi il livore che si scatena su questi temi..

Se uno non vuole ostilità non deva fare il prete.. Non era un’esortazione morale la mia, come se il problema centrale fosse la condotta umana. Non è così. Sono i fondamenti dell’umano ad essere erosi e distrutti! (si riferisce alla Lettera ai fedeli dell’aprile 2014). L’ideologia per difendersi ha solo un mezzo: l’attacco e l’insulto. Pensi alla favola del Re nudo (I vestiti nuovi dell’imperatore, ndr). Quando il bambino dice: «ma guardate che è nudo!» cosa si fa? Lo si fa tacere..non con argomenti ma con la forza o prendendolo in giro. I mezzi del potere.

Grazie Sua Eminenza della paterna disponibilità. E della pazienza..(ho esagerato con le domande?)

A intervista conclusa aggiunge questo.

Su certe cose che il Papa dice c’è silenzio e censura. Non devono essere comunicate, perché distruggerebbero l‘ ideologia del Papa virtuale che ovviamente è diverso dal Papa reale. Avere un rapporto col Papa virtuale è come non avere rapporto col Papa; e questo è un fattore di estrema debolezza nella vita dei fedeli. Così sta avvenendo. Quando ultimamente ho parlato della “cataratta” su un quotidiano era scritto: “il nostro Arcivescovo non è sulla linea d’onda di Papa Francesco..” Io ho più piacere che mi dicano che ho un’amante anziché che non sono in totale sintonia con il Santo Padre. Lo dissi immediatamente prima del Sinodo straordinario. E’ molto meno grave per un vescovo. Il mio portavoce, la settimana seguente ha fatto una sinossi tra quello che aveva detto il Papa a Napoli qualche giorno prima e i miei interventi. Confrontando i due testi si vedeva bene che il Papa aveva usato parole anche più dure delle mie. (La Croce quotidiano fa questo servizio, di non tacitare il Papa! Aggiungo io. Anzi riporta sempre con fedeltà i suoi interventi). Certo.

Il re è nudo..

E ci lasciamo con una cosa bella. Quando il Santo Padre Giovanni Paolo II mi ha chiamato a Roma per fondare l’Istituto per studi su Matrimonio e Famiglia ha voluto dedicarlo alla Madonna di Fatima. Io dopo qualche mese ho scritto a Suor Lucia per dire semplicemente che il Santo Padre ha voluto dedicare l’ istituto a Fatima e per dirle “Sorella, preghi per noi”. Non mi aspetto risposta. Dopo non tanto tempo mi arriva dalla Curia di Coimbra [bisognava sempre passare dalla diocesi per la corrispondenza] una lunga risposta, autografa di Sr. Lucia, alla fine della quale c’era scritto esattamente così: «Padre, non abbia paura! Verrà un momento in cui la battaglia decisiva di Satana con Cristo sarà il matrimonio e la famiglia. Ma non abbiate paura: la Madonna gli ha già schiacciato la testa».

Il tempo che il cardinale aveva a disposizione era terminato, ma tra i (molti) fogli con i quali mi ero preparata all’intervista ne mancava ancora uno, con un’ultima domanda – peraltro una alla quale tenevo particolarmente. Il cardinale mi ha chiesto di vederlo e mi ha detto che, non potendosi intrattenere oltre con me, avrebbe risposto per iscritto all’ultima domanda. Sull’impegno dei cattolici in politica.

11- Dopo l’epoca Ruini contraddistinta da una sostanziale unità ora la presenza e l’azione dei cattolici (non della Chiesa come istituzione) e le indicazioni della Chiesa italiana paiono più frammentate. Come popolo cristiano, come presenza che incide anche nella società civile e nell’agone politico, però spesso dobbiamo misurarci con separazioni, particolarismi, distinguo… e non è proprio il momento per disperdere energie. A cosa dobbiamo stare attenti? Perché c’è così tanta distrazione, tiepidezza se non addirittura connivenza?

Molte sono le cause che hanno prodotto l’attuale insignificanza della comunità cristiana nell’agorà politico. Mi limito a qualche accenno. Già Paolo VI individuava nella separazione tra fede e cultura il segno della debolezza dei cristiani. Ai miei fedeli dico la stessa cosa nel modo seguente: “ciò che celebriamo alla domenica, non ha alcun rapporto con ciò che facciamo il lunedì”. L’incapacità di elaborare un giudizio di fede circa ciò che sta accadendo, è una malattia gravissima di chi crede. Certamente, l’ingresso dell’agorà pubblico esige il rispetto da parte del credente di due beni dello Stato: la sua laicità; il sistema maggioritario come procedura per le deliberazioni pubbliche. Donde deriva la debolezza di giudizio? Ci sono fattori comuni a credenti e non credenti, quale per esempio, il sentire lo Stato come corpo estraneo al nostro vivere associato. E ci sono fattori propri del credente. A questo riguardo noi pastori dovremmo fare un serio esame di coscienza: siamo stati educatori veri al giudizio di fede?

Non è mica tua la mia vita

(articolo pubblicato per La Croce quotidiano, il 27 gennaio 2015)la_Croce

Sono Paola. Figlia da 40 anni, moglie da 11 e mamma da 10. Tutti e tre gli stati sono a tempo indeterminato.
Ho 4 figli. Tre femmine e un maschio. 10, 9, 5 e 1 anno.
Le prime due insieme a molti doni, profondità, intelligenza, bellezza, talenti musicali e molto, molto ancora da scoprire, si stanno sudando un po’di più alcune conquiste scolastiche (aggiungerei, dopo un po’ di penare, un sereno “chissenefrega” perché la scuola serve per la vita non per la scuola).
La terza ha iniziato a parlare a 10 mesi , è precoce in molte cose, particolarmente intuitiva e piena di meraviglie da scoprire lei pure (oltre all’apposito kit di difetti che non abbiamo mancato di regalare a tutti ma per il quale i nostri figli, sono certa, ci perdoneranno).
Il piccolo è malato seriamente. E abbiamo iniziato a scoprirlo, seppur con alterne vicende e molte incertezze, durante la gravidanza. Alla 23 settimana. E’ seguito un vero calvario. Ora lo curiamo al meglio delle nostre possibilità. E lui ci ricambia con la sua bellezza e molta gioia.

“Ma tu, da me, che co-sa vuoi?”

È un test; se state mentalmente proseguendo la filastrocca “… biscottino alla bebè , mi congratulo con te! Yeeeesssssssss!!!!!!!!” allora con molta probabilità siete mamma, papà o zia di una bambina con meno di 10 anni. Altrimenti, boh. Siete già passati ad altro?

Comunque, volevo dire questo: che i figli dovrebbero farcela questa domanda.
In senso metaforico. (Se non è metaforico, benvenuta adolescenza).
È un invito a prendere un po’ di dolorosa distanza da loro. Un passo in più di quella necessaria a sbaciucchiargli le guance.
Non sono nostri. Eppure li custodiamo. Siamo disposti a difenderli anche con le unghie. Da cosa? Dai pericoli, da tutti i pericoli.
Ma io credo soprattutto dalla menzogna. Per questo la prima cosa da riconoscere è che la loro vita è loro. Non nostra.
Anche il mio piccolo che non parla mi dice “non è mica tua la mia vita, è mia”.
Per questo ci possiamo arrabbiare un po’ di meno quando ci accorgiamo che non sono come ci sarebbe piaciuto (piccola legenda: dietro ogni ci, si, chiunque e altre forme impersonali o generiche ci sono nascosta io). Continua a leggere