Poveri i potenti

 

giubileo_misericordia_abbraccio.jpgNoi lo ascoltiamo spesso il Papa. Ascoltiamo le Sue parole, leggiamo discorsi, temiamo a volte conferenze stampa aeree per le strumentalizzazioni che ne nascono con il Pontefice ancora ad alta quota; partecipiamo a udienze. E quando non siamo là fisicamente, cioè tutti i santi mercoledì tranne uno, il 20 gennaio scorso, io le seguo a Radio Maria o le rileggo online.

Anche mio marito le legge ogni tanto, credo. Comunque una delle cose che il Papa invita a fare spesso è aprire la Sacra Bibbia, leggere qualche passo e lasciarsi illuminare dalla Parola di Dio. Due sere fa ho proposto a mio marito di farlo lui per tutti. È capitato su una cosa tipo genealogia della tribù di Levi. “Fin dove devo leggere?”.

Lascia stare. (Ma allo Spirito Santo avevi detto Vieni o Vai?)

Mi è venuta in mente una scena del film “Se Dio vuole” dove il figlio maschio fa un outing del tutto inatteso e pochissimo digeribile dai genitori ormai smarcati da qualsiasi retaggio religioso (almeno così sembra) comunicando loro  la propria intenzione ad entrare in seminario. Erano prontissimi all’annuncio della sua omosessualità.

La sorella Bianca, meno brillante del primogenito secondo i canoni paterni, banale anche nei gusti musicali  e con un degno marito, per prima è affascinata dalla conversione del fratello. Lui le consiglia di leggere il vangelo. “Sono 4 i Vangeli”, le dice. “No, guarda grazie, dammene uno solo che poi faccio casino..”

E lo apre e legge. È un elenco infinito di nomi poco eufonici. Le palpebre si fanno pesanti fino a chiudersi. Al risveglio non sembra essere stata compensata da un sogno divinamente ispirato.

Ma torniamo all’udienza di ieri (24 febbraio 2016, ndr). Il Santo Padre come sempre commenta le letture. Io da biblista tutta propositi e niente esercizio non conoscevo la storia della vigna di Nabot.

Si trova nel Primo Libro dei Re al capitolo 12.

Acab è re e la vigna di Nabot lui la vuole. Sua moglie la vuole.

«Gezabele si serve delle apparenze menzognere di una legalità perversa: spedisce, a nome del re, delle lettere agli anziani e ai notabili della città ordinando che dei falsi testimoni accusino pubblicamente Nabot di avere maledetto Dio e il re, un crimine da punire con la morte. Così, morto Nabot, il re può impadronirsi della sua vigna. E questa non è una storia di altri tempi, è anche storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente. È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più! Per questo dicevo che ci farà bene leggere quel libro di Sant’Ambrogio su Nabot, perché è un libro di attualità.

Ecco dove porta l’esercizio di un’autorità senza rispetto per la vita, senza giustizia, senza misericordia. Ed ecco a cosa porta la sete di potere: diventa cupidigia che vuole possedere tutto. Un testo del profeta Isaia è particolarmente illuminante al riguardo. In esso, il Signore mette in guardia contro l’avidità i ricchi latifondisti che vogliono possedere sempre più case e terreni».

Porta alla morte e alla solitudine. Paga il povero Nabot, con la propria vita, ma paga anche il corrotto e corruttore Acab. E Dio ha pietà di lui. Ha pena per la sua fame di mondo che lo rende schiavo. Il castigo è proprio il grido del nostro stesso cuore che non si placa accumulando casa su casa e campi vicino a campi.

Contro il potere esiste solo la Grazia. E la Grazia di Dio che si butta sul peccato per non perdere l’abbraccio col suo amatissimo peccatore si chiama misericordia.

«La misericordia può guarire le ferite e può cambiare la storia  – prosegue il Papa – . Apri il tuo cuore alla misericordia! La misericordia divina è più forte del peccato degli uomini. È più forte, questo è l’esempio di Acab! Noi ne conosciamo il potere, quando ricordiamo la venuta dell’Innocente Figlio di Dio che si è fatto uomo per distruggere il male con il suo perdono. Gesù Cristo è il vero re, ma il suo potere è completamente diverso. Il suo trono è la croce. Lui non è un re che uccide, ma al contrario dà la vita. Il suo andare verso tutti, soprattutto i più deboli, sconfigge la solitudine e il destino di morte a cui conduce il peccato. Gesù Cristo con la sua vicinanza e tenerezza porta i peccatori nello spazio della grazia e del perdono. E questa è la misericordia di Dio».

Il più debole in questo caso potrebbe essere Acab stesso. Vittima della propria prepotenza, fiaccato dall’asservimento alla propria cupidigia.

La misericordia è la Grazia di Dio che ci rende stranieri al mondo e cittadini della città celeste.

L’Innocente che si è immolato per noi ha ristabilito il diritto. Questa verità mi ha fatto impazzire intorno ai 23, 24 anni. Poi non è che l’abbia capita, ma ho visto che è così. Che l’innocente senza colpa ha pagato. Noi, i colpevoli, non avevamo nessuna moneta corrente ormai. Tutto era corrotto. Così non mi arrabbio più, ma mi commuovo quando durante la S. Messa il sacerdote dice a nome di tutti che offriamo in sacrificio a Dio Suo figlio. Vivendo la Liturgia come finestra sulla vera vita, che tenta di continuo di assimilare a sé quella di tutto il mondo, ho iniziato a pensare che tutti questi paradossi divini siano l’unica cosa che spiega tutto. Lavarsi nel sangue ed essere candidi. Morire per vivere. Perdersi per guadagnarsi. Avere fame e cercare Altro. E il pane arriva.

La giustizia di una natura redenta si chiama Misericordia. La città, la Città di Dio, e non più il giardino, è la possibilità definitiva del rapporto di Dio con gli uomini e degli uomini tra gli uomini.

Ed in questa città il potere si esercita come fa Cristo. Il potere vero, totale. Che non si sovrapporrà mai a quello terreno. L’importante è che il popolo di Dio possa uscire dall’Egitto e offrire i sacrifici al Suo Dio. L’importante è che, dato a Cesare quel che gli spetta, si possa dare a Dio quello che è Suo. La libertà di annunciare il Vangelo quindi è l’unica vera condizione che noi cristiani dobbiamo pretendere dallo stato. Il resto deve venire come tentativo, come approssimazione, come marcia di paziente avvicinamento ad un bersaglio mobile.

Non mi sono ancora procurata il testo di S. Ambrogio che il Santo Padre ci invita a leggere, però mi sono ricordata di avere un libretto edito da 30giorni dove sono raccolte le riflessioni di diverse personalità sul potere secondo la visione di un amico di Ambrogio, S. Agostino.

La tensione ineliminabile, finché si srotolano i volumi della Storia, tra città terrena e città celeste è il segno della nostra natura umana ferita. Ci chiede di accettare per questo la nostra personale e comune imperfezione e nell’esercizio dell’umana potestà di tollerare anche il male senza mai approvarlo né volerlo per se stesso.

Secondo J. Ratzinger «per Agostino gli Stati e le patrie della terra passano a un rango secondario perché ha trovato la città, lo Stato di Dio e in esso la patria unica di tutti gli uomini. (…) Tutti gli Stati di questa terra sono “Stati terreni” anche quando sono retti da imperatori cristiani e abitati più o meno completamente da cittadini cristiani.

(…) La Chiesa rimane “comunità di stranieri” fino alla fine dei tempi. (Il potere e la grazia, ed. 30giorni, pag 47-ss) ».

In una storia dove la Città celeste vive per la Grazia e accetta con pazienza l’imperfezione delle istituzioni umane, lo Stato non sarà mai quella enorme entità garante di un ordine (in realtà impossibile) alla quale sacrificare l’irriducibile libertà della persona.

Per questo possiamo – anzi dobbiamo!- batterci senza risparmiarci per la difesa di leggi dignitose e la difesa da leggi inumane pur sapendo che l’unica cosa davvero, ma davvero davvero davvero importante è che ognuno di noi si accorga del proprio peccato, si penta amaramente e ricordi l’indirizzo di Dio per andare a chiederGli perdono. Suonare “Misericordia”.

 

Desiderabili effetti collaterali

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Siamo arrivati in tempo.  Undici e quaranta circa. Lo dico per i nostri amici bresciani che ci hanno dileggiato via Whatsapp e Facebook perché loro a mezzanotte stavano già partendo e noi invece avevamo in programma di avviarci alle cinque e quarantacinque. Sì, siamo stati al Family Day. Siamo stati, anche noi, il Family Day.

Noi, che ogni giorno è il giorno della famiglia, ma non come il film “il giorno della marmotta” per cui tutto ricomincia da capo ogni volta e siamo intrappolati nello stesso giorno identico a se stesso. Ogni giorno è giorno della famiglia perché noi e l’altro milione e novecentomila arrotondati per difetto (dato della questura) che ci siamo portati belli e disarmati al Circo Massimo siamo famiglie. Veniamo da famiglie. Ci dibattiamo dentro le nostre famiglie. Ne vogliamo testimoniare la bellezza, certo, ma non perché siamo particolarmente simpatici o particolarmente integri moralmente. La bellezza della famiglia è da imputare innanzitutto alla sua esistenza. E ora, malgrado noi, malgrado la nostra natura tutt’altro che bellicosa, ne dobbiamo mostrare la resistenza. Esistiamo e resistiamo. Involontari salmoni risaliamo una corrente che tira altrove.

Anche un po’ balenottere spiaggiate eravamo,  per la verità, una volta rovesciatici esausti sulla rena del Circo Massimo; dopo mezza dozzina abbondante di ore di vibrazioni che l’autostrada trasferiva dal suo manto al nostro sedere per mezzo degli pneumatici (si dice gli pneumatici non i, scusate, approfitto:  ho delle istanze personali da portare avanti) del nostro glorioso Scudo Fiat. Continua a leggere

Il volto, i volti.

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(Articolo già pubblicato per La Croce Quotidiano, http://www.lacrocequotidiano.it)

Sto studiando. Lo faccio perché mi piace. Mi piace perché le cose interrogano. Sono evidenti e misteriose, familiari e inconoscibili. Allora tocca fissarle, a lungo. Fino a che, di nuovo, tornino a spaventarci per il fatto così inspiegabile e continuo che esistono.

E guardo anche me come oggetto esistente, come essere che esiste. Soggetto, certo.

Ex sisto. Spunto fuori, buco il piano dell’essere, spunto fuori e sto in piedi sulla crosta del mondo.

Sento a volte come  l’assurda presenza del  nulla che ci insegue e soffia sulle caviglie il suo fiato gelido, raggelante.  Non mi avrai, Nulla. Sei nulla, senza maiuscola.

Sono e siamo. Eravate, era, fosti, furono; saremo tutti. Per sempre.

Mi  succede, passando attraverso la folla, che mi sorprenda un pensiero gigantesco: le innumerevoli facce, la moltitudine immensa delle persone. Davanti, intorno a me un piccolo scampolo di questa folla senza fine.

Un’anziana asiatica, il bambino tedesco che dorme nello zainetto la guancia accaldata sulla schiena del padre, un gruppo di uomini e donne che vedo solo di spalle, la guida turistica francese con la bandierina levata in alto, io, una figlia per mano.

Oh! Che soprassalto. Facce a migliaia e milioni e miliardi come tante finestre sull’infinito. Sul non sapere Chi è Quello che ci chiama, che sembra farsi trovare e poi sparisce e tace. Dio a volte tace. Continua a leggere

Non è mica tua la mia vita

(articolo pubblicato per La Croce quotidiano, il 27 gennaio 2015)la_Croce

Sono Paola. Figlia da 40 anni, moglie da 11 e mamma da 10. Tutti e tre gli stati sono a tempo indeterminato.
Ho 4 figli. Tre femmine e un maschio. 10, 9, 5 e 1 anno.
Le prime due insieme a molti doni, profondità, intelligenza, bellezza, talenti musicali e molto, molto ancora da scoprire, si stanno sudando un po’di più alcune conquiste scolastiche (aggiungerei, dopo un po’ di penare, un sereno “chissenefrega” perché la scuola serve per la vita non per la scuola).
La terza ha iniziato a parlare a 10 mesi , è precoce in molte cose, particolarmente intuitiva e piena di meraviglie da scoprire lei pure (oltre all’apposito kit di difetti che non abbiamo mancato di regalare a tutti ma per il quale i nostri figli, sono certa, ci perdoneranno).
Il piccolo è malato seriamente. E abbiamo iniziato a scoprirlo, seppur con alterne vicende e molte incertezze, durante la gravidanza. Alla 23 settimana. E’ seguito un vero calvario. Ora lo curiamo al meglio delle nostre possibilità. E lui ci ricambia con la sua bellezza e molta gioia.

“Ma tu, da me, che co-sa vuoi?”

È un test; se state mentalmente proseguendo la filastrocca “… biscottino alla bebè , mi congratulo con te! Yeeeesssssssss!!!!!!!!” allora con molta probabilità siete mamma, papà o zia di una bambina con meno di 10 anni. Altrimenti, boh. Siete già passati ad altro?

Comunque, volevo dire questo: che i figli dovrebbero farcela questa domanda.
In senso metaforico. (Se non è metaforico, benvenuta adolescenza).
È un invito a prendere un po’ di dolorosa distanza da loro. Un passo in più di quella necessaria a sbaciucchiargli le guance.
Non sono nostri. Eppure li custodiamo. Siamo disposti a difenderli anche con le unghie. Da cosa? Dai pericoli, da tutti i pericoli.
Ma io credo soprattutto dalla menzogna. Per questo la prima cosa da riconoscere è che la loro vita è loro. Non nostra.
Anche il mio piccolo che non parla mi dice “non è mica tua la mia vita, è mia”.
Per questo ci possiamo arrabbiare un po’ di meno quando ci accorgiamo che non sono come ci sarebbe piaciuto (piccola legenda: dietro ogni ci, si, chiunque e altre forme impersonali o generiche ci sono nascosta io). Continua a leggere